Yanmar, a Firenze un centro di ricerca per la sostenibilità

Yanmar, a Firenze, è il primo centro di ricerca del gruppo in Italia. Partecipa anche a un corso da sommelier del riso focalizzato sul saké
Un polo di eccellenza italo-giapponese, immerso sulle colline di Firenze: è Yanmar R&D Europe (YRE), il primo centro di Ricerca e Sviluppo del Gruppo Yanmar in Italia, nato nel 2011.
Oggi la base centrale di Yanmar a Osaka dirige oltre 20mila dipendenti nel mondo e ha raggiunto un fatturato di 6,4 miliardi di euro. L’azienda, che opera nei settori delle costruzioni, dei motori industriali, dell’agricoltura, dei sistemi energetici e in quello marino, è stata fondata più di 100 anni fa, nel 1902, da Magokichi Yamaoka.
Inizialmente vendeva motori a gas, poi passò al settore agricolo e nel 1921 realizzò un rivoluzionario motore orizzontale a olio pesante, seguito da un propulsore di nuova tecnologia per le imbarcazioni da pesca. Seguirono numerose innovazioni tecnologiche che culminarono, nel 1933, con la produzione del primo motore diesel compatto al mondo.
Interessante la storia del suo fondatore: nato in una famiglia di agricoltori, vide il terribile tributo che il lavoro agricolo comportava per coloro che lo circondavano e cominciò a pensare in quale modo alleggerire il carico sui lavoratori attraverso l’automazione.
Sapendo che, per il Giappone povero di risorse, ogni goccia di carburante doveva essere destinata allo sviluppo sociale, Yamaoka dedicò la capacità dell’azienda di produrre motori superiori al compito di espandersi nel campo dei macchinari industriali, senza mai dimenticare il principio “Conservare il carburante è per servire l’umanità”. Come eredi di questa convinzione, nel 2016, l’idea è stata perfezionata in “Un futuro sostenibile – Nuovo valore attraverso la tecnologia”: Yanmar si impegna a fornire soluzioni sostenibili per bisogni essenziali alla vita umana, concentrandosi sulle sfide che i clienti devono affrontare nella produzione alimentare e nello sfruttamento dell’energia.
Nel solco di questa missione, l’obiettivo di YRE Firenze è creare tecnologia di prossima generazione per l’uso efficace dell’energia. Abbiamo approfondito l’ambito di ricerca di YRE con il suo presidente Alessandro Bellissima e con l’agronoma Carolina Fabbri.

Yanmar è un polo di ricerca attivo in diversi settori, dall’agricoltura ai motori industriali. Qual è il denominatore comune di tutti questi ambiti?
«La risposta più semplice è: il motore a combustione interna, che viene inserito su un mezzo agricolo, un mezzo da costruzione, una ruspa, un generatore o un mezzo marino. In generale, il nostro contributo è nello sviluppare le propulsioni del domani, dall’elettrico all’idrogeno.
La risposta più interessante è un’altra. Sta in qualcosa che accomuna tutte le persone che lavorano alla Yanmar ed è il concetto di Hanasaka (da Hana, “fiori”, e Saka, “fioritura”). Si tratta della volontà di far sbocciare le persone affinché possano seguire le loro capacità e possano andare avanti nel loro percorso all’interno dell’azienda.
L’obiettivo è crescere in un ambiente stimolante, portando avanti i propri temi di ricerca o di produzione, ma sempre con un occhio allo sviluppo individuale. In questo modo, l’azienda contribuisce alla società e non solo all’economia dell’azienda stessa.
Per favorire la crescita del nostro centro abbiamo attivato delle collaborazioni scientifiche con il Laboratorio PERCRO della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Per nostra natura è fondamentale avere sempre un dialogo aperto con le università e con i centri di ricerca: per fare attività specifiche, per attivare tesi e tirocini e anche per assumere gli studenti che hanno fatto il dottorato con noi o che hanno collaborato ai nostri progetti di ricerca.
È un ciclo virtuoso che portiamo avanti da quando esistiamo e che ci porta sempre a incrementare le nostre conoscenze e le persone che lavorano da noi».

Fabbri, quali sono i vostri progetti in ambito agricolo?
«Aiutandoci con la robotica stiamo sviluppando nuove soluzioni per aiutare le operazioni colturali a essere più efficienti, riducendo i tempi di lavorazione. Lo impone il contesto attuale, anche alla luce del cambiamento climatico e della riduzione delle ore di lavoro in agricoltura.
Inoltre, stiamo creando una filiera con gli agricoltori, in modo che essi possano sostenere la produzione agricola da soli e in modo resiliente, utilizzando i propri residui colturali in un ciclo continuo.
Cerchiamo di valorizzare gli scarti di potatura come vite, ulivo o ramaglie: invece di lasciarle sul terreno o bruciarle, crediamo che si possa fare meglio, ossia sfruttarle all’interno di un impianto di gassificazione. In questo modo si può produrre energia elettrica e calore.
Infine, stiamo facendo delle prove in campo per verificare come il biochar o carbone vegetale possa migliorare la resa delle colture, in qualità di ammendante del terreno. Da esso si ottiene anche il distillato di legno e anche questo ha degli usi in agricoltura, come la qualità di allontanare i parassiti e di essere un biostimolante per le colture.
L’utilizzo di questi sottoprodotti è funzionale alle attuali normative, che impongono una riduzione dei pesticidi e vogliono orientare gli operatori verso un’agricoltura più sostenibile».
Il fatto di essere una realtà italo-giapponese vi ha portato a interessarvi alla cultura materiale del Giappone che ha nel riso uno dei suoi elementi fondamentali: il 24 Marzo parteciperete a un corso da Sommelier del riso. Come è nata questa iniziativa?

«Il nostro gruppo di ricerca, grazie alla collaborazione con Massimo Biloni e il Centro Sperimentale di Risicoltura Italiano – IRES, ha selezionato e creato una nuova varietà di riso per la produzione di saké in Europa. Fino ad ora, infatti, i produttori europei dovevano acquistare il riso dal Giappone oppure utilizzare varietà locali, inadatte alla produzione di saké.
Abbiamo selezionato delle varietà di riso giapponese per saké e le abbiamo adattate attraverso la selezione e l’ibridazione genetica a essere coltivate in Europa. Tra le varietà sottoposte ai test sono state scelte quelle che riuscivano a produrre in modo migliore riso di ottima qualità per fare il saké, in condizioni ambientali differenti da quelle presenti in Giappone.
Nell’ultimo anno siamo riusciti a registrare due varietà di riso per la produzione di saké, con le quali può essere prodotto dell’ottimo saké a livello europeo.
La partecipazione a questo corso nasce dalla possibilità di diffondere la cultura del riso anche in Europa. In un territorio come il nostro, molto legato al consumo di vino e birra, negli ultimi anni si è registrato un crescente interesse e una grandissima percentuale di consumo e di nascita di breweries per la produzione di saké.
Tutto questo ci ha spinti a dare una mano ai risicoltori, in modo che possano differenziare i loro prodotti in campo e produrre non solo del riso tale e quale ma anche un prodotto di più alto reddito e di più alto valore.
Il corso, organizzato da Acquaverderiso in collaborazione con la Scuola Italiana Saké, non riguarda solo il riso in senso stretto, ma prevede una parte dedicata all’introduzione teorica al saké, oltre a un’esercitazione con analisi gustativa. Saranno rilasciati crediti formativi per Agronomi e Dottori Forestali, ma la partecipazione è aperta a tutti gli interessati e non solo agli operatori del settore».
«Yanmar è un’azienda molto eterogenea – conclude Bellissima – il cui presidente ha una forte passione per il cibo e per la cultura che ci gira intorno. La sperimentazione relativa al riso non è il core business dell’azienda, ma può portare un messaggio legato alla sostenibilità.
Evitare di importare il riso dal Giappone per fare il sakè in Europa e coltivarlo in Europa permette di ridurre le emissioni inquinanti, di ridurre i costi di approvvigionamento e di aumentare la sicurezza dell’approvvigionamento stesso».