Uno sguardo alla Game Industry
Tra sviluppo globale e ritardo italiano
Centoquaranta miliardi di euro. Questo il fatturato della Game Industry nel 2020. Estremamente diversificato per prodotti, consumatori e professionalità coinvolte, con un miliardo e mezzo di utenti e migliaia di operatori del settore, il mercato del gaming è in continua espansione e costituisce il capitolo più recente e redditizio dell’economia dei media
L’emergenza sanitaria ha incrementato il consumo di videogiochi di quasi il 10%. La crescita riguarda in primo luogo i browser games e i giochi per mobile e social network. Meno complessi di quelli per pc e console e, per una cospicua percentuale, free to play, si rivolgono a una platea di circa tre miliardi di utenti, soprattutto casual gamer. Più contenuta la crescita del settore delle console, che ha patito le restrizioni imposte dalla pandemia al ritmo della produzione dei giochi e delle console next-gen.
Gli introiti più cospicui riguardano l’ecosistema digitale, almeno sotto due aspetti. Il primo è la distribuzione dei giochi, che tende a superare i limiti del supporto fisico – Xbox Serie S PS5 Digital Edition sono prive del lettore blue-ray – attraverso l’e-commerce, il cloud gaming e i servizi di abbonamento. Il secondo riguarda la netta prevalenza del multiplayer.
Qual è la posizione dell’Italia in questo mercato? Secondo il rapporto annuale IIDEA 2020, i videogiocatori italiani nel 2019 sono stati 17 milioni, il 39% della popolazione compresa tra i sei e i sessantaquattro anni, con un giro di affari di un miliardo e settantotto milioni di euro. Fanno tendenza i giocatori professionisti, i content creator e gli influencer italiani attivi su Twitch, Patreon e Youtube, con milioni di visualizzazioni. Eppure, l’Italia svolge meramente il ruolo di consumatore, senza nessun contributo attivo di rilievo.
Le ragioni risiedono indubbiamente nel ritardo complessivo del settore delle tecnologie informatiche e delle reti digitali e nella carenza di investimenti. Il ritardo è allo stesso tempo culturale: l’industria del gaming non sembra attrarre né imprenditori né formatori. Nessuno dei maggiori corsi di laurea in informatica, con l’eccezione della Statale di Milano, offre corsi specifici in game design. Una preparazione più specifica è fornita da istituti privati come Vigamus Academy e Accademia Italiana Videogiochi: il numero consistente degli studenti, soprattutto programmatori, che trovano impiego all’estero ancora prima del completamento del corso di studi è indicativo delle enormi potenzialità occupazionali del settore. Riccardo Zacconi, l’imprenditore che a capo della King Digital ha ideato nel 2012 Candy Crush, uno dei mobile game più diffusi al mondo– ceduto ad Activision nel 2016 per poco meno di sette miliardi di dollari –, è tra i finanziatori della scuola di coding gratuita 42 Roma Luiss, che ha iniziato la sua attività a gennaio 2021.
Allo scopo di sostenere le piccole imprese del settore, nel febbraio 2020, dalle ceneri di AESVI, nasce IIDEA, l’associazione di categoria dell’industria dei videogiochi, al centro di iniziative e manifestazioni incentrate sulla diffusione della cultura del videogioco. Su suo impulso si è svolto a Pisa, nel mese di luglio, First Playable, il primo evento business internazionale dedicato agli sviluppatori italiani. Nel mese di gennaio 2021 la collaborazione tra IIDEA, Istituto Luce Cinecittà, Regione Lazio e Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo ha portato al lancio di un bando di concorso del valore di sessantamila euro per dieci startup innovative del settore.
Senza il sostegno pubblico e il coraggio degli investitori, difficilmente queste iniziative sono destinate a un successo effettivo e duraturo. Nell’ultimo anno pare essersi registrato un cambiamento di tendenza, timido ma promettente. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Mirella Liuzzi ha proposto un fondo di quattro milioni di euro per startup e software house italiane con un capitale sociale non inferiore ai diecimila euro e che hanno come core business la produzione di videogiochi. Il fondo, inserito nell’art. 39 del Decreto rilancio del 19 maggio 2020, istituisce il First Playable Fund sul modello di iniziative europee analoghe: la Francia, patria del colosso mondiale Ubisoft, ha istituito nel 2008 i Fonds d’aide au jeu vidéo, seguita, nel 2015, dalla Gran Bretagna con l’UK Games Fund; dal 2014, il sottoprogramma MEDIA del fondo europeo Creative Europe offre finanziamenti anche nel ramo dei videogiochi. Nonostante l’esiguità degli investimenti – negli ultimi due anni Germania e Polonia hanno stanziato, rispettivamente, quaranta e trenta milioni di euro – il provvedimento è stato avversato in Parlamento da quanti ritengono i videogiochi lesivi delle capacità di ragionamento e di certo non meritori di un investimento pubblico. Si tratta di una visione limitante dell’industria, che produce anche ottime opere di ingegno, e una sottovalutazione drammatica di un settore economico cruciale. Le idee ci sono, così come le competenze e il mercato: mancano i fondi, e confidare fideisticamente nella manna del Next Generation Eu non è sufficiente. Occorre una svolta nella cultura imprenditoriale, e non solo.
APPROFONDIMENTI
Leggi l’articolo “la cultura, quarto pilastro dello sviluppo sostenibile” sul tema del Next Generation Eu