Tutela delle api selvatiche. Aree fluviali trasformate in spazi fioriti per ospitarle.
L’Università di Firenze, nello specifico i Dipartimenti di Biologia e di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari e Ambientali e Forestali, con il Consorzio di Bonifica Medio Valdarno, hanno dato vita ad un progetto che prevede il recupero di aree fluviali destinate a diventare l’habitat più consono per le api selvatiche.
La sperimentazione, che durerà almeno tre anni, è la prima di questo tipo in Europa, in particolare perché i ricercatori si impegnano a valutarne gli effetti, mettendo a disposizione uno sforzo scientifico ingente, sia sul campo che in laboratorio. Ne abbiamo parlato con la professoressa Francesca Romana Dani del Dipartimento di Biologia
Innanzitutto cosa determina la diminuzione delle api selvatiche?
«La situazione quest’anno è particolarmente drammatica a causa dell’aridità. Ne risentono le api allevate ma anche quelle selvatiche. Sicuramente va chiarito che acquisire dati relativi allo stato delle api selvatiche è molto difficile. In Europa ci sono ben 2.000 specie e solo in Italia, dove le biodiversità tendono ad essere più numerose, ne abbiamo 1.200. Riuscire ad avere dati sui trend di popolazione diventa complicatissimo. Per molte specie addirittura non abbiamo nessun dato. Bisogna fare molta attenzione quindi prima di affermare che ci sono specie in via di estinzione. Va detto anche però, che studiando le informazioni di alcune specie più conosciute, il fenomeno della diminuzione è evidente e innegabile. Questa è causata da vari fattori, ad esempio dai cambiamenti nell’uso del suolo in agricoltura, dalla riduzione di aree aperte a causa dell’urbanizzazione e, paradossalmente, dalla diminuzione dell’agricoltura in alcune zone che determina la nascita di una copertura arborea che le api non amano, perché a loro servono spazi aperti con fioriture. Un altro problema è rappresentato dagli insetticidi. Molti non hanno effetti letali immediati, ma possono avere effetti sub-letali. Alcuni studi dimostrano che possono portare a scompensi in alcuni comportamenti, per esempio danneggiando l’orientamento in volo».
In cosa consiste il progetto di recupero di aree fluviali?
«La collaborazione con Il Consorzio di Bonifica Medio Valdarno è molto proficua. Le aree di loro competenza sono vaste e la loro conoscenza del territorio è approfondita e preziosa. L’anno scorso, con i colleghi di Agraria, avevano intrapreso un progetto che prevedeva la semina di trifoglio in aree fluviali. Avendo visto questa iniziativa interessante, che garantiva però una fioritura troppo breve quindi insufficiente, noi del Dipartimento di Biologia abbiamo proposto di seminare più specie diverse, scegliendo piante autoctone e dalla fioritura più lunga. Il Consorzio aveva aree disponibili e ha accettato di destinarle a questa sperimentazione. L’idea è quella di valutarne gli effetti usando dei metodi di rilevamento standardizzati, per capire se queste pratiche aumentano le popolazioni e le varietà di api selvatiche. Le piante che seminiamo devono essere capaci di non farsi sopraffare dalle piante infestanti, ad esempio le graminacee, e devono auto riprodursi l’anno successivo. Bisogna capire poi quali sono più gradite dalle api e se ne vale la pena, perché tutto questo ha un costo. Il progetto durerà almeno tre anni e puntiamo molto sulla semina che faremo in autunno perché la disponibilità di acqua sarà maggiore. Sicuramente dovremo ampliare le aree interessate e procedere con i rilievi nei due anni successivi».
Quali sono le aree attualmente interessate?
«L’area di Castelletti a Signa e l’area sul fiume Pesa nel Comune di Montelupo Fiorentino, entrambe nella provincia di Firenze. In tutto stiamo parlando di 15 ettari abbondanti, quindi di un lavoro impegnativo. Quando andiamo in campo torniamo sempre con molte specie da determinare e riconoscere ed è un lavoro complesso, perché alcune sono molto simili tra loro. Dobbiamo quindi analizzare aspetti morfologici e aggiungere metodi di identificazione di tipo molecolare, con cui si vanno a sequenziare alcuni geni. I dati ottenuti poi confluiscono in banche dati pubbliche».
Perché è fondamentale tutelare le api selvatiche e non solo quelle da miele?
«Innanzitutto perché la biodiversità è un valore di per sé e non deve essere necessariamente legata ad una questione economica. Nel caso degli impollinatori poi, il discorso è ancora più complesso perché c’è anche un valore economico. Le api garantiscono dei servizi eco-sistemici fondamentali e se uno dei componenti della rete ecologica viene meno, l’effetto sull’ecosistema è traumatico. È molto importante parlarne e devo dire che già molto è stato fatto per sensibilizzare le persone su questo tema fondamentale. Oggi c’è maggiore consapevolezza sulla necessità di tutelare ogni specie di insetto, api comprese».