TT Tecnosistemi, guardare indietro per andare verso il futuro

Riccardo Bruschi, ad di TT Tecnosistemi
«Se guardo indietro vedo il futuro». Riccardo Bruschi, amministratore delegato di TT Tecnosistemi, riassume così, in una frase, quasi quarant’anni di storia dell’azienda. System integrator del Gruppo Digital Value, Tecnosistemi nasce nel 1984 e da allora si occupa di quello che oggi è noto come ICT
Quarant’anni nel mondo dell’innovazione sono un’eternità: Bruschi, com’è cambiata la vostra attività nel tempo?
«Siamo passati dalla macchina elettromeccanica alla realtà immersiva e al metaverso di oggi. Quello che ci ha contraddistinto fin dall’inizio è stato il fatto di puntare su grandi clienti nel settore enterprise, questo ci ha obbligato a tenere il passo con le loro necessità, anticipandole per altri clienti più piccoli. Abbiamo iniziato in Toscana, poi nel centro Italia e poi in giro per il mondo, dove ci hanno portato i nostri clienti. La nostra caratteristica è sempre stata la capacità di innovare, cercare di rispondere, e quando possibile anticipare le esigenze del mercato, senza adagiarci nelle zone di comfort. In quest’ottica, ci siamo specializzati anche attraverso le certificazioni, ad esempio le ISO, Vision, 14000 e oggi siamo Società Benefit e siamo in attesa per diventare B Corp».
Il tema sostenibilità oggi quanto conta per un’azienda?
«È importantissimo. Non è solo il fatto di avere un bollino, è un percorso che ci permette di aiutare i nostri clienti a portare avanti un concetto di sostenibilità. Porto il caso di un nostro cliente al quale abbiamo venduto una Epson PaperLab che permette di rigenerare la carta al 95%, genera risparmio e salvaguarda l’ambiente. Si riescono a innescare circoli virtuosi. Già dalla fine degli anni Novanta cerchiamo di ricondizionare i vecchi device, in questo modo aiutiamo i clienti a non rottamare i prodotti, ma recuperarli e rimetterli in circolo. O ancora, con i data center, cerchiamo di prediligere soluzioni SaaS (Software-as-a-Service), in modo che il cliente usi solo le macchine che effettivamente gli servono, impattando meno sull’ambiente.
Fortunatamente, la questione ambientale è sempre più sentita, tanto dai grandi quanto dai piccoli, e in alcuni casi è diventata un elemento dirimente».
Tra i vostri clienti, occupano un posto importante gli enti pubblici. Dal vostro osservatorio, qual è lo stato della digitalizzazione nel settore pubblico?
«Facciamo parte di un gruppo che ha chiuso l’anno con un fatturato di 708 milioni, noi contribuiamo per 55. Tra i nostri clienti c’è molta pubblica amministrazione locale, mentre nel gruppo ci sono dei veri champions e la pubblica amministrazione centrale. Qui vediamo l’uso di tecnologie anche molto innovative, dalla virtualizzazione alla salvaguardia del dato.
Noi cerchiamo di portare l’innovazione sul territorio, per ridurre le distanze. La pandemia ha permesso di fare un salto quantico, soprattutto con le piccole amministrazioni, che hanno improvvisamente avuto la necessità di poter continuare a esistere da remoto. Adesso, con l’arrivo dei soldi del Pnrr speriamo che si continui su questa strada».
C’è un settore pubblico, con cui avete una lunga storia di collaborazione: la scuola. Come è nato questo incontro e quali sono le ultime novità?
«Forse ancora più che altri settori, la scuola è uno dei campi in cui abbiamo anticipato i tempi e le esigenze. Nel 2005 abbiamo iniziato a importare da Manchester le prime Lim e a proporle in Italia, dove erano ancora sconosciute. Poi abbiamo continuato a lavorare con il mondo scuola, proponendo soluzioni innovative nei laboratori. L’ultimo è Meta-Verso Scuola, attraverso cui proponiamo l’accesso alla realtà immersiva senza dover ricorrere agli Oculus, ma utilizzando i classici monitor. Si tratta di una soluzione per la formazione attraverso la realtà immersiva, che avevamo sviluppato per l’industria e poi abbiamo traslato alla scuola. È un’iniziativa che si inserisce nel solco dell’approccio pionieristico che ha da sempre caratterizzato il nostro rapporto con la scuola. Ricordo ancora quando nel 2007, abbiamo contribuito a realizzare il primo esperimento di didattica a distanza, per permettere a due bambini isolani di Marettimo di seguire le lezioni senza obbligare i genitori a trasferirsi. Quello stesso modello lo abbiamo poi riusato per le comunità montane».
Provando a guardare nel futuro: quali saranno nei prossimi anni le professioni in ambito tecnologico più richieste?
«Ne vedo una e mezza. Sicuramente tutte le competenze legate al mondo della sicurezza del dato e della cybersecurity. E in questo caso non penso solo a competenze tecnologiche, ma anche di tipo forense e umanistiche perché c’è una componente culturale che è fondamentale. La mezza, dico mezza perché devo ancora capire quale sarà tutto il suo potenziale, è legata a ciò che ruota attorno all’intelligenza artificiale».

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