Produttività e ore di lavoro
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“La produttività non si può imporre, bisogna fornire gli strumenti per consentire alle persone di dare il meglio di sé.” Con queste parole Steve Jobs rischia di mettere a tacere qualsiasi altra considerazione in merito. Tuttavia, mi prendo la responsabilità di proseguire e proverò a fare qualche altra considerazione.
Nel suo più ampio significato il grado di produttività mette a confronto quanto si è generato, in termini di valore, e quanto si è utilizzato a tal fine. Si giunge alla massima produttività quando, mi si consenta, si genera sempre di più utilizzando sempre meno. Fin qui tutto bene.
Proviamo, ad intorbidire la visuale introducendo l’elemento “qualità”. In alcuni casi velocizzare la produzione, utilizzando sempre meno fattori produttivi, rischia di alterare il valore intrinseco di quanto prodotto, anche se il target quantitativo è raggiunto.
Ecco che la questione si arricchisce di un ulteriore elemento di complessità che rende meno scontata la risposta alla domanda: quale è il trade off oltre il quale spingere la produttività non genera valore?
È opportuno considerare la produttività un vero e proprio processo che deve coinvolgere tutta la struttura aziendale. All’inizio del processo produttivo, ed ovviamente in corsa quando se ne reputa opportuna la sua revisione, si definiscono alcuni parametri ben correlati all’obiettivo aziendale. Se la tipologia di prodotti oggetto del business è di tipo massivo si potrà impostare un livello produttivo più spinto. In caso contrario il processo dovrà tenere in debito conto la qualità ipotizzata. Uno dei parametri a cui la produttività si riferisce prioritariamente è il numero di ore necessarie alla generazione del prodotto stesso. Ve ne sono altri che, in modo più o meno efficace, consentono di inquadrare il processo, verificare gli andamenti rispetto all’obiettivo prefisso e, aspetto molto importante, consentire un confronto con altre realtà aziendali, campioni o gruppi similari. E non è poco anche se, quando prospetto attività di benchmarking ai miei clienti, e conseguente analisi, mi sento spesso dire: “la mia realtà è differente, non mi posso confrontare con le risultanze medie del mio codice ATECO in modo oggettivo, va bene tutto ma il mio mercato è altra cosa.”
Sono punti di vista assolutamente condivisibili ma vale la pena considerare che la visione integrale di un processo è dato da una somma di punti di vista, di osservazione, alcuni dei quali anche un po’ sfocati. Vero è che la sintesi finale dovrà necessariamente farla l’imprenditore.
Tornando ai parametri, che potrebbero essere veramente tanti e alcuni alquanto dispersivi, proviamo a vedere insieme quelli forse più significativi ed oggettivi.
La “produttività media per dipendente” (fatturato / numero dipendenti medi annui) può essere un utile parametro di confronto. La sfocatura sta nelle lavorazioni presso terzi che, di fatto, incrementano il fatturato ma non in modo proporzionale il numero degli addetti.
Il gap si potrebbe rimediare utilizzando il parametro “valore aggiunto / dipendenti”. In questo caso il numeratore risente dell’effetto produzioni interne ed esterne perché è depresso sia dal costo del lavoro che dal costo dei servizi.
Altro parametro rilevante è il costo medio del personale (costo del personale / totale dipendenti). Complementa i due precedenti, espressi per numero ma non per valore.
Ce ne sono altri ma ciascuno di essi ha dei limiti e, come già detto, per farsi un’idea è opportuno allargare il gioco. Dotarsi di un efficace sistema di contabilità industriale può essere un’ottima partenza. A ciò si aggiunga l’opportunità di coinvolgere tutti i dipendenti, e non solo da un punto di vista algoritmico (consapevolezza su budget, numeri della produzione etc.). Con loro si deve stipulare un vero e proprio patto aziendale condividendo il disegno imprenditoriale. Vero è che la produttività passa necessariamente per la misura della performance di un lavoratore o gruppo di essi riguardo alla generazione di beni e servizi in un determinato arco di tempo. Da qui non ci possiamo scostare. È anche vero che non si può non tenere conto dell’utilizzo e conseguenti tempi di risposta dei macchinari utilizzati e dei processi di lavoro.
Il coinvolgimento della struttura è un ottimo presupposto per migliorare la produttività aziendale. Questo unitamente ad una sana capacità di osservare la concorrenza ed essere sempre pronti a ritarare gli equilibri non appena se ne manifestino le necessità. Quindi ben venga il fine tuning ma, tanto per ritornare sull’annosa questione della innervatura tra orario di lavoro e produttività, ricordo anche David Heinemeier Hansson , imprenditore e blogger, secondo il quale “il segreto della produttività non è trovare più tempo per fare più cose, ma trovare la forza per fare meno cose che non è necessario fare.”
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