Passaggio Generazionale: un processo complesso

Riguardo al passaggio generazionale ce la potremmo cavare lanciando una serie di anatemi e posizionando un set di interessanti statistiche che delineano un quadro sconcertante. Proviamo insieme a vedere l’aspetto da altri punti di vista.
In azienda il fenomeno, e la preoccupazione, del passaggio generazionale sta acquisendo sempre più forma. Sempre più spesso si hanno imprenditori con le idee chiare su tutto tranne che sul futuro della propria azienda. Peccato che il più delle volte hanno superato i sessanta anni ed oltre. Quanto più si va avanti tanto più il percorso attraverso il quale individuare una soluzione si fa stretto. Il pensiero che risuona è lasciare il tutto ai propri figli, ma senza fretta. Quest’ultimo aspetto nuoce alla salute dell’impresa. Ammesso che i figli abbiano le intenzioni, e la capacità, di assolvere ad una funzione sostitutiva il pit stop in età avanzata determina due possibili vulnerabilità:
- negli ultimi anni di gestione del genitore l’azienda potrebbe risentire di una possibile, direi inevitabile, stanchezza intellettuale dello stesso, con possibili riflessi negativi;
- il conseguente subentro dei figli trova l’azienda, e la struttura, conformata al periodo di stanchezza, con ovvie difficoltà di imprimere la propria impostazione, anche perché forse ancora non c’è.
Da questi semplici pensieri emerge che elaborare un passaggio in età avanzata del genitore, in modo secco e senza una cogestione con i figli per un determinato periodo, può rappresentare una difficoltà non sempre facilmente ovviabile.
Ho avuto varie occasioni convegnistiche per esprimere il mio pensiero in argomento. Tuttavia preferisco prendere spunto da quanto osservato direttamente in azienda in occasione nel mio attuale ruolo di consulente aziendale, combinato a quello di dirigente bancario, svolto negli ultimi 20 anni della mia carriera professionale.
Ho potuto constatare che molti imprenditori pianificano il passaggio in modo equilibrato, dopo aver verificato tutti i presupposti, non ultimo le capacità e le aspettative dei propri figli. Su questo si richiede la massima obiettività, ben conscio che non è così agevole. In caso positivo vanno successivamente individuate le modalità giuridiche e sostanziali. Per le prime possono soccorrere il patto di famiglia ed altri istituti. Per le seconde sarà opportuno un profondo inserimento del figlio in azienda in grado di consentire una graduale presa in visione della situazione. Gioca un ruolo forte anche la dimensione dell’impresa: quanto più l’azienda è grande tanto più il figlio avrà la possibilità di inserirsi in più ambiti, fino ad emulare le leggende metropolitane di grandi aziende di famiglia i cui rampolli si mescolavano in incognito nelle file degli operai.
C’è anche una parte meno edificante in cui taluni imprenditori coinvolgono i propri figli nella forma ma non nella sostanza. Mi è accaduto più volte di avere un appuntamento con il referente aziendale per discutere di aspetti importanti senza che si sia posto il problema di invitare il proprio figlio al tavolo della discussione. E ancora, continuare a discutere e vedere il ragazzo presentarsi sulla porta della sala riunioni, non per entrare ma per salutare garbatamente al termine dell’orario di lavoro.
Queste sfumature, per usare un eufemismo, hanno la coda lunga e rischiano di far perdere di credibilità la componente più giovane non solo nei riguardi degli stakeholders esterni ma anche, e forse soprattutto, della struttura interna.
Entriamo un po’ più nel merito. A chi consegnare lo scettro della responsabilità di questa situazione?
All’imprenditore o al figlio? La domanda è facile ma non lo è altrettanto la risposta.
Al primo si può addebitare una scarsa lungimiranza, a volte figlia di un insano e malcelato egoismo, tendente a evitare l’abbandono dello status di padre-padrone, vera propria area di comfort. Sente che rifuggere dalla stessa gli potrebbe creare dei traumi personali e per questo fa del tutto per far girare il meno possibile le lancette dell’orologio.
Il figlio potrebbe insistere per ottenere un posizionamento più adeguato ed evitare, a suo modo, di crogiolarsi in uno status, quello del figlio dell’imprenditore, che apporta notevoli vantaggi nell’immediato ma contribuisce a far perdere delle importanti occasioni di prove tecniche di impresa.
Per una realizzazione corretta e misurata del passaggio generazionale giocano vari fattori al punto da non poter definire un modello valido per tutte le stagioni: dimensione dell’azienda, età dell’imprenditore e del/i figlio/i, inclinazione, preparazione e aspettative di quest’ultimo, predisposizione dell’imprenditore, situazione familiare (uno o più figli, tutti potenzialmente oggetto del passaggio o solo uno o alcuni di essi).
Sopra sono stati accennati degli esempi che, per la loro natura di best e worst case perimetrano un’area di varie possibilità.
Confucio diceva che “i giovani devono essere rispettati. Come possiamo sapere se le nuove generazioni non saranno all’altezza di quelle presenti? Ma se un uomo a quaranta o cinquanta anni non è riuscito a farsi notare, non merita alcun rispetto.”
Forse ci ha consegnato la chiave di lettura per un’adeguata riflessione sul passaggio generazionale.
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