Parità di genere e violenza: nessuno resti indifferente
«Ognuno si senta responsabile di un episodio di violenza, piccolo o grande che sia: tutti possiamo fare qualcosa». A dirlo è Francesca Basanieri, intervistata per noi da David Meccoli
La Commissione regionale per le pari opportunità è un organismo autonomo di tutela e garanzia istituito all’interno del Consiglio regionale che determina l’attuazione dell’uguaglianza tra i generi e rimuove gli ostacoli che costituiscono per le donne fattori di discriminazione diretta e
indiretta; favorisce il raccordo tra la realtà e le esperienze femminili della regione e le donne elette nelle istituzioni. Ha l’obiettivo di promuovere condizioni di piena parità tra uomini e donne, svolge attività di monitoraggio e indagine, favorisce la raccolta e la diffusione di informazioni, gli interventi di assistenza e consulenza, elabora progetti, sollecita l’attivazione di centri culturali e ricreativi, organizza iniziative e reti di coordinamento.
Presidente Basanieri, tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 Onu ci sono la promozione della cultura della parità di genere e l’impegno a ridurre le diseguaglianze. Quali azioni ha messo in campo e svilupperà in futuro la sua commissione, per fare la propria parte in questo percorso?
«La Commissione regionale pari opportunità ha l’obiettivo primario di creare cultura di genere. Il fatto che l’Agenda 2030 la inserisca al quinto posto è indicativo di come il benessere di una società si misuri anche sulla capacità di garantire l’uguaglianza di diritti e opportunità tra generi.
È ormai evidente che le società più evolute sono quelle in cui la parità viene riconosciuta e possiamo arrivarci solo attraverso iniziative capillari e strutturali. Le singole amministrazioni nel corso degli anni hanno dato vita a progetti e iniziative anche di alto valore, ma occorre fare rete, renderle omogenee perché cadano capillarmente su tutti i territori e siano realmente efficaci.
Due sono le cose, in particolare, su cui è necessario insistere: per gli enti pubblici il bilancio di genere, per le aziende la certificazione di genere. Sono due modi per guardare alle politiche sempre più in un’ottica di pari opportunità e anche per comprenderne le ricadute reali sulle donne. L’altro aspetto è legato al miglioramento delle condizioni lavorative.
Solo in questo modo, e anche assicurando un lavoro stabile, potremo dare vera dignità sociale ed economica alle donne. Condizioni fondamentali per eliminare le discriminazioni che sfociano, come ormai e purtroppo sappiamo, anche in episodi di violenza. Il lavoro, e aggiungo anche la formazione, sono determinanti per costruire il proprio percorso e dare dignità e possibilità di crescita personale e professionale alle donne».
Come si pone la Toscana, relativamente ad altre regioni, in questo contesto?
«La Toscana, su questo fronte, sta facendo molto: ha messo in campo risorse, finanziamenti e progetti. Ne cito uno tra i tanti: la misura per gli asili nido gratuiti per Isee sotto i 35mila euro, che assicura una prospettiva di lungo termine e non solo un bonus una tantum. Le donne hanno bisogno di politiche e azioni strutturali per decidere di fare dei figli e costruire il proprio futuro.
Le misure spot non servono e non a caso nell’ultimo report di Save the Children si riconosce il valore di quanto fatto nella nostra regione, inserendo la Toscana tra le prime che hanno fatto azioni concrete per le donne madri».
Come si combattono stereotipi e pregiudizi? Chi può fare e cosa si può fare?
«Tutti possono fare qualcosa, sempre e quotidianamente, riconoscendo ruolo e dignità alle donne nella società. Se le donne avranno più ruoli attivi e apicali in ogni settore, sarà più difficile avere stereotipi e pregiudizi. Se facciamo in modo che le donne possano ricoprire i ruoli che desiderano, riusciremo a
costruire una società migliore, più inclusiva, più tollerante. Anche l’uso di un linguaggio appropriato può fare la differenza. Così come deve essere combattuto l’utilizzo dell’immagine della donna legata solo a certi ruoli: penso, ad esempio, a campagne pubblicitarie molto discutibili che ci allontanano da una società libera e matura».
Il non aver ancora raggiunto la parità di genere è un fallimento per tutta la società?
«Sì, perché la parità di genere è ormai dimostrato che abbia un valore rilevante anche dal punto di vista dello sviluppo economico. È, certamente e prima di tutto, un fattore di democrazia paritaria e di giustizia sociale, ma anche un volano di benessere. Per questo è stata inserita al quinto posto nell’Agenda 2030, prima ancora di temi come il lavoro o la transizione ecologica.
Una società dove ognuno è in grado di esprimere le proprie potenzialità avendo stessi diritti e opportunità è una società sana e in crescita. Anche nelle aziende private, gli indicatori ci dicono che, quando si attuano politiche di parità e welfare aziendale, i bilanci ne beneficiano in termini di crescita e le aziende risultano più resilienti ai cambiamenti.
Questo perché entrano in circolo visioni e approcci che creano circoli virtuosi. Per questo non possiamo accettare che l’Italia sia ancora al settantanovesimo per la parità di genere secondo il Global Gender Gap Report a causa delle scarse opportunità lavorative date alle donne molto lontane da quelle di altri Paesi europei».
Del femminicidio si è detto che è un “orrore senza fine”. Ma cosa si può cercare di fare per debellare questo orrore?
«La strategia antiviolenza deve partire certamente dalla costruzione della cultura di genere e della consapevolezza delle diverse forme di violenza. Lo possiamo fare indirizzando le nostre azioni su tre diversi livelli. In primis quello della scuola: ritengo che debba essere resa obbligatoria l’educazione alle relazioni, all’affettività e alla sessualità nelle scuole di ogni ordine e grado.
Gli studenti e le studentesse si devono continuamente confrontare, ovviamente in maniera diversa a seconda dell’età, con questi temi per prendere coscienza e consapevolezza di come si vivono relazioni sane e di come si riconoscono e si gestiscono relazioni tossiche. C’è stato un momento, dopo la tragica morte di Giulia Cecchettin, in cui si faceva un gran parlare di questa opportunità, oggi mi pare che ci sia solo silenzio.
Allo stesso tempo dobbiamo sensibilizzare la società civile in modo che cittadine e cittadini sappiano sempre a chi rivolgersi quando riconoscono una violenza, che sia la propria o quella di familiari o amici. E infine, magistrati, forze dell’ordine e operatori che a vario titolo si confrontano con donne vittime di violenza devono essere ben formati e informati, per poter dare la miglior risposta possibile.
Troppe volte, purtroppo, abbiamo assistito a donne che dopo aver denunciato, con non poca fatica, sono state trattate con scarsa sensibilità o si sono sentite dalla parte del colpevole in un processo per violenza o stupro. Questi errori da parte di chi dovrebbe difendere le donne non sono accettabili e non a caso su questo tema l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo»
La cultura del “lasciar perdere” è “complice” di questa situazione? Si deve trovare la forza di reagire anche davanti a comportamenti apparentemente meno violenti o discriminatori?
«Sì. Ognuno di noi si deve sentire sempre responsabile di un episodio di violenza, piccolo o grande che sia. Non rimanere indifferenti è fondamentale. Ormai è un’emergenza quotidiana e ogni espressione di violenza deve essere fermata e condannata, che sia violenza fisica, verbale o psicologica, che sia una discriminazione sul lavoro o una battuta sessista dobbiamo agire e fermare una cultura maschilista che considera ancora le donne oggetto e non soggetto. Spetta a noi tutti fare la differenza o avremo sulla coscienza la prossima vittima di femminicidio».