• 15/01/2025

Opificio delle Pietre Dure, un’eccellenza mondiale per la tutela e ripristino del patrimonio artistico, tra storia e modernità tecnologica

 Opificio delle Pietre Dure, un’eccellenza mondiale per la tutela e ripristino del patrimonio artistico, tra storia e modernità tecnologica

Marco Ciatti – soprintendente Opificio delle Pietre Dure

INTERVISTA A
Marco Ciatti,
Soprintendente

La storia dell’Opificio delle Pietre Dure (OPD) corre a ritroso fino al 1588, anno in cui fu fondato da Ferdinando I de’ Medici come manifattura artistica specializzata nella lavorazione delle pietre dure. Nel 1932 nacque il Gabinetto Restauri, il primo laboratorio di restauro moderno d’Italia e il primo a dare importanza alle indagini scientifiche preliminari, grazie all’uso di radiografie che indagavano lo stato dell’opera oltre la superficie visibile. In seguito al secondo conflitto mondiale, l’OPD contribuì al recupero di importanti opere danneggiate e dopo l’alluvione di Firenze del 1966, l’intervento dell’Istituto divenne fondamentale, tanto da richiamare restauratori da tutto il mondo.

Oggi l’attività dell’OPD si suddivide tra restauro e ricerca, un museo con le antiche pietre dure, la biblioteca con il ricco archivio di tutti gli interventi, laboratori all’avanguardia tra cui uno scientifico, chimico, fisico e biologico e un servizio di climatologia e conservazione preventiva. Le sedi sono tre, quella storica in via Alfani e quelle più ampie e moderne alla Fortezza da Basso e Palazzo Vecchio.
L’Istituto è anche sede della Scuola di Alta Formazione e di Studi riconosciuta dallo Stato e alla quale si accede superando una dura selezione pubblica.
L’Opificio è l’esempio perfetto di come sia possibile mantenere ben salde le proprie radici storiche senza rinunciare alle più innovative ricerche scientifiche e soluzioni tecnologiche. Un Istituto pubblico che ha il grande merito di unire le abilità delle maestranze artigiane locali con le avanguardie tecnologiche.
La presenza dell’Opificio ha influito sulla specializzazione che caratterizza tutto il territorio fiorentino nell’alta tecnologia applicata ai beni culturali. L’area fiorentina eccelle infatti in tecnologie laser/optoelettroniche non medicali, sensori e microscopie avanzate e componenti ottici. Tante le aziende impegnate nel settore High Tech Cultural Heritage e molti gli Istituti di ricerca quali l’IFAC (Istituto di Fisica Applicata) con sede a Sesto Fiorentino, il LENS (Laboratorio Europeo per la Spettroscopia Non Lineare) centro di eccellenza dell’Università di Firenze, l’ICVBC-CNR (Istituto per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali), l’INO (Istituto Nazionale di Ottica) con sede ad Arcetri.
L’indotto che si è venuto a creare intorno al settore della conservazione dei beni culturali rappresenta un importante motore economico per il territorio e richiama ingenti investimenti finanziari e personale altamente qualificato.

 

L’Opificio delle Pietre Dure è un Istituto unico al mondo. Quali sono dottor Ciatti gli elementi che lo distinguono e caratterizzano?

La sua lunga storia lo caratterizza e lo differenzia da più moderne realtà nate spesso come laboratori di servizio di alcuni grandi musei internazionali. Inoltre avere nello stesso istituto tutte le competenze necessarie per un progetto di conservazione, storiche, tecniche e scientifiche, consente di far convergere in maniera sinergica l’attività con una maggiore efficacia.

  

L’Istituto ha vissuto un’evoluzione continua. C’è stato un momento particolarmente importante, che ha contribuito in modo fondamentale a determinare l’attuale OPD?

Determinante per la situazione attuale fu la riforma del 1975 voluta da Umberto Baldini e resa possibile dal ministro Giovanni Spadolini, che riunì in un unico istituto tutte le realtà operanti nel campo della conservazione a Firenze: l’antico Opificio di via degli Alfani, il Gabinetto restauri della Soprintendenza nella Fortezza da Basso ed altri minori laboratori (carta, tessili ecc.), nati a seguito dell’alluvione del 1966. Subito dopo Baldini creò il Laboratorio Scientifico con Mauro Matteini e dal 1978 la Scuola di restauro.

 

L’Opificio è il perno attorno al quale è nato e si è sviluppato il distretto fiorentino che vede importanti aziende e centri di ricerca attivi nel settore dei Beni Culturali. Che rapporto avete con l’indotto?

L’OPD e le ditte che operano nel campo dei beni culturali hanno compiti e funzioni diverse. All’OPD spetta di svolgere la formazione dei futuri restauratori, sviluppare la ricerca e l’innovazione attraverso un numero contenuto di importanti progetti di restauro, e svolgere attività di consulenza e supporto per le Soprintendenze e i Musei anche nei casi di interventi affidati a ditte.

Dall’alto di un’esperienza secolare, sentite che manca qualcosa? Si potrebbe fare di più nel settore?

Il compito di conservare e valorizzare in maniera adeguata un sistema di beni culturali immenso come quello italiano richiederebbe risorse umane e finanziarie molto superiori a quelle attuali, su tutto il territorio nazionale. Tutti gli uffici del MiC andrebbero potenziati, soprattutto come personale, assumendo i tanti giovani laureati nelle materie attinenti, il che aiuterebbe anche nei confronti del cronico problema della disoccupazione giovanile.

Quali sono i restauri più complessi e quali sono quelli emblematici, che sentite fortemente all’interno dell’OPD?

Nei vari Settori di restauro in cui è organizzata l’attività nell’OPD, secondo i vari materiali artistici, ci sono casi di progetti che hanno svolto una funzione di grande innovazione rispetto al passato. Penso al restauro della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze per il Settore dei bronzi, o agli arazzi della sala dei Duecento in Palazzo Vecchio, con Storie di Giuseppe ebreo, oppure ancora l’altare d’argento di San Giovanni del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore per l’oreficeria. Mi piace ricordare anche due recenti interventi che hanno dimostrato le grandi potenzialità di due settori di recente istituzione, quelli sui beni archeologici e sulle opere d’arte contemporanee e cioè i restauri di Alchemy di Pollock della Peggy Guggenheim di Venezia e la Vittoria alata di Brescia.

 

Al momento in quali settori/attività siete maggiormente impegnati?

Tutti gli undici settori dell’OPD lavorano molto attivamente in quanto in ognuno si devono conseguire risultati nelle nostre tre linee di attività: operatività (restauri), ricerca e formazione, collaborando con la Scuola di Alta Formazione. Queste tre attività devono operare in maniera sinergica e non in modo separato. Ciò produce risultati superiori anche se richiede un grande e costante impegno.

 

Impiegate costantemente energie per stare al passo coi tempi e spesso siete voi ad anticiparli i tempi, trainando un folto seguito che vi guarda per svariati motivi. Cosa può fare l’OPD in ottica futura, che non abbia già fatto?

In realtà nel campo della conservazione dei beni culturali c’è ancora molto da riuscire a conseguire, vi sono temi ancora senza una adeguata risposta come, per esempio, la conservazione delle sculture in marmo o bronzo all’aperto, oppure nuove tecniche di consolidamento per i materiali porosi (pietra, legno, ecc.), ma soprattutto creare una più moderna e diffusa cultura della conservazione che non si deve basare su interventi episodici, sia pur di ottimo livello, ma lavorare in maniera costante nel tempo impiegando in maniera sinergica la conservazione preventiva, la manutenzione ed il restauro, quest’ultimo quando è necessario. Come nella medicina dovremmo puntare di più sulla prevenzione e su di una corretta gestione dei beni con una manutenzione programmata e non episodica, ma ciò richiederebbe grandi risorse umane ed una nuova mentalità.

 

Come vive un Istituto che fa della tutela la propria mission e ragione di esistere, i conflitti bellici in corso su più fronti e i venti di guerra che soffiano sempre più anche verso Occidente?

Alcuni dipendenti dell’OPD fanno parte dei così detti “caschi blu” del Ministero della Cultura che possono essere inviati dal Governo per salvaguardare i beni culturali danneggiati da catastrofi naturali o da conflitti. Già da sole le catastrofi naturali sono la maggiore causa di danneggiamenti a beni culturali, pensiamo alle alluvioni ed ai terremoti così frequenti (2009 L’Aquila, 2012 Emilia, 2016 Italia centrale), la presenza oggi anche di conflitti in varie parti del mondo non fa che peggiorare la situazione. Siamo comunque a disposizione del nostro Governo se saremo chiamati ad aiutare qualche bene culturale straniero in difficoltà. Ricordo che l’OPD collabora con la Soprintendenza dell’Umbria per la gestione del deposito-cantiere del Santo Chiodo di Spoleto dove ci sono circa 6.000 beni culturali danneggiati, in parte già da noi recuperate.

Irene Tempestini

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