Natalia Bruno, scienza e parità di genere
Secondo l’ufficio statistico dell’UNESCO, le donne rappresentano ancora una minoranza nell’ambito della ricerca scientifica, costituendo circa un terzo dei ricercatori a livello mondiale: tra il 1901 e il 2020, ad esempio, meno del 4% dei premi Nobel – solo 23 – è stato assegnato a donne, considerando solo quelli per la Fisica, la Chimica, la Fisiologia o la Medicina. Abbiamo parlato con Natalia Bruno, una delle punte di diamante dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Firenze, del nuovo equilibrio tra scienza e parità di genere
Nel 1998, L’Oréal e UNESCO provano a invertire la rotta, istituendo il Premio “For Women in Science”, il primo premio internazionale dedicato alle donne che operano nel settore scientifico e volto a riconoscere l’operato delle ricercatrici di tutto il mondo.
In Italia il premio si chiama “Per le Donne e la Scienza” ed è promosso da L’Oréal Italia sempre in collaborazione con l’UNESCO. Nato per favorire nel nostro paese la formazione di giovani scienziate attraverso il conferimento di borse di studio di 20mila euro a ricercatrici d’età inferiore ai 35 anni, nel 2021 il Premio è stato conferito a 6 ricercatrici che operano in diversi ambiti scientifici che vanno dallo studio del DNA all’ambiente. Tra queste meritevoli ricercatrici c’è Natalia Bruno.
Lei ha ricevuto il Premio L’Oréal-UNESCO 2021 “Per le Donne e la Scienza” grazie a un progetto nel campo delle tecnologie quantistiche, insieme a cinque colleghe ricercatrici che lavorano in Italia e successivamente il premio internazionale L’Oréal-UNESCO “International Rising Talents” 2022, unica italiana tra le 15 selezionate a livello mondiale. Quale importanza rivestono tali riconoscimenti nella comunità scientifica internazionale e quale impatto hanno avuto sulla sua carriera e sulle sue aspirazioni future?
«Sono riconoscimenti scientifici molto importanti, che mi hanno dato l’opportunità di valorizzare il mio lavoro anche all’interno di una comunità più ampia di quella ristretta di ottica quantistica. Grazie a questa esperienza sono entrata nella rete For Women in Science, ho conosciuto le altre 14 vincitrici del premio IRT, tutte ricercatrici di altissimo livello e con le storie più diverse, provenienti da ogni parte del mondo. È importante, secondo me, mostrare che in un mondo multiculturale alla fine abbiamo in comune le stesse lotte e questo il programma L’Oréal-UNESCO lo fa benissimo, dando risalto alle ricercatrici che riescono ad emergere anche in paesi con guerre in corso o dove la condizione delle donne spesso preclude loro la possibilità di intraprendere questo tipo di carriera. Sicuramente non sarei arrivata a questo traguardo senza il supporto dei miei colleghi e colleghe, perché la ricerca è un lavoro di squadra, e della mia famiglia che mi ha sempre incoraggiata in questa carriera.
Credo che il sostegno della fondazione L’Oréal e di UNESCO sia fondamentale perché dà visibilità alle giovani ricercatrici sia nel mondo della scienza che nella società in generale, permettendo alle nuove generazioni di avere dei modelli diversi dal classico stereotipo di scienziato, abbattendo i preconcetti secondo cui certi mestieri hanno un genere e spingendo verso le pari opportunità per avere parità anche a livelli alti di carriera.
Credo che il sostegno di FWIS alle giovani ricercatrici e la promozione delle pari opportunità per tutte le persone sia estremamente importante e debba essere un esempio da seguire per tutti. Sento anche una grande responsabilità poiché ora avrò l’opportunità di essere un modello per studenti e ricercatori più giovani, ruolo che mi impegno a svolgere al meglio».
Lei ha dichiarato che il genere non dovrebbe ostacolare le carriere accademiche. Cosa si dovrebbe fare secondo lei per garantire l’effettiva parità anche nel campo scientifico?
«Il soffitto di cristallo può essere solo parzialmente spiegato con i pregiudizi inconsci. È presente in ogni professione, non solo accademica e scientifica, e forse potrebbe essere correlato al fatto che l’ambiente di lavoro è modellato attorno a uno stereotipo maschio-bianco-eterosessuale di persona con potere, e di conseguenza qualsiasi persona diversa da quello stereotipo non sarà ritenuta affidabile in quella posizione.
A mio avviso si dovrebbe lavorare anche sul fatto che non esistono adeguate politiche sociali e assistenziali per garantire il sostegno alle famiglie nella cura dei bambini e degli anziani, che spesso ricade sulle donne. Le donne sono percepite come più impegnate nei lavori domestici e nella cura dei figli rispetto agli uomini, anche quando non hanno famiglia o figli.
Negli ultimi anni, almeno nell’Unione Europea, c’è stato uno sforzo continuo per cercare di compensare questo squilibrio. Per poter ottenere finanziamenti europei, ad esempio, gli istituti di ricerca e le università devono avere un piano di parità di genere (GEP), per pianificare azioni concrete per contrastare il gender gap.
Al CNR il mio impegno su questo è concreto. Collaboro con il progetto europeo MINDtheGEPs, di cui fa parte il CNR-IRPPS (Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali) e che sostiene la realizzazione e implementazione del GEP al CNR. La formazione è un pilastro del GEP del CNR ed è quello in cui sono inserita. Nel GEP del nostro Ente, la formazione affianca le azioni concrete come il monitoraggio del bilancio di genere nelle commissioni, nei congressi e a tutti i livelli di carriera, l’introduzione di misure di sostegno alle famiglie con persone da accudire, il contrasto delle molestie.
Faccio anche parte del comitato che si occupa delle attività del GEP del Laboratorio Europeo di Spettroscopie Nonlineari (LENS).
Abbiamo avuto negli anni scorsi alcune donne di scienza premio Nobel per la Chimica e la Fisica e in Italia, per esempio, Maria Chiara Carrozza è stata eletta presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, prima donna in questo ruolo. Questo mi fa sperare che, con il tempo, si potranno finalmente stabilire condizioni di lavoro che possano dare pari opportunità a tutte le persone senza distinzioni di sorta. Inoltre, vedo che certi comportamenti che dieci anni fa non erano percepiti come discriminatori, oggi vengono immediatamente stigmatizzati e credo che questo sia un segnale promettente, che dimostra come le persone inizino a capire che la convivenza di tutte le diversità possa richiedere un piccolo sforzo da parte di tutti verso il rispetto reciproco».
Il progetto con cui ha vinto il premio si chiama “Tecnologie quantistiche atomiche per la progettazione di dispositivi a stato solido”. Può illustrarcelo e spiegarci le sue implicazioni nella vita sociale?
«L’obiettivo della ricerca che ho presentato per il premio è di consentire l’uso delle tecnologie quantistiche in applicazioni pratiche. La ricerca riguarda lo studio di fotoni entangled, particelle di luce, candidate ideali come bit quantistici in quanto possono viaggiare sia nelle fibre ottiche che nello spazio libero, e l’uso dei risultati ottenuti per poi progettare nuovi dispositivi a stato solido e miniaturizzati, ottimizzati per le telecomunicazioni quantistiche.
L’entanglement è un fenomeno che sfida ogni intuizione empirica. Due particelle sono entangled quando non è possibile separare la descrizione dell’una da quella dell’altra, e le loro correlazioni non possono essere descritte con la fisica classica: questo è alla base, ad esempio, del teletrasporto quantistico.
Con un accurato controllo di un sistema atomico, con laser e campi magnetici, è in linea di principio possibile generare una coppia di fotoni e controllarne le proprietà quantistiche e le correlazioni per manipolare e studiare gli stati entangled della luce e le loro interazioni con la materia.
Le implicazioni di questa ricerca nella vita sociale saranno, ad esempio, la possibilità di comunicare informazione grazie a sistemi di crittografia la cui sicurezza è garantita dalla meccanica quantistica, oppure la possibilità di avere delle reti di computer che ci permettono di fare calcoli che altrimenti richiederebbero tempi lunghissimi, pari alla vita dell’universo, e che potrebbero servire a scoprire nuovi farmaci, nuovi materiali o nuovi fenomeni fisici che ad oggi non conosciamo».
Quali sono le principali innovazioni scientifiche nel campo dell’ottica?
«L’Istituto Nazionale di Ottica del CNR, dove lavoro, è attivo in diversi ambiti, tra i quali la fisica della materia fredda, l’ottica quantistica con fotoni, atomi e molecole, la metrologia, la biofotonica, la scienza per il patrimonio culturale, per le energie rinnovabili, scienza della visione. In particolare, io mi occupo di ottica quantistica con fotoni e atomi.
La conoscenza degli aspetti quantistici alla base dell’interazione tra luce e materia sta raggiungendo il punto in cui può essere utilizzata per sviluppare nuove tecnologie, le tecnologie quantistiche. Queste ci permetteranno di costruire computer, reti, sensori potenziati con prestazioni che non possiamo raggiungere con la tecnologia attuale. Nel nostro istituto in particolare ci sono moltissime ricerche innovative anche al punto di creare spin-off, come ad esempio nell’ambito della comunicazione e crittografia quantistica, campo in cui ad oggi sono disponibili anche sistemi commerciali.
Ci sono anche apparati sperimentali all’avanguardia per lo studio di particolari fenomeni fisici e nuovi stati della materia attraverso simulazioni quantistiche, per la misura di forze molto piccole con una precisione possibile solo grazie alla fisica quantistica, per lo sviluppo di nuove sorgenti di luce quantistica e per la nanofotonica integrata, diversi mattoncini indispensabili per tutte queste nuove tecnologie».
A quali progetti sta lavorando attualmente?
«Attualmente lavoro all’Istituto Nazionale di Ottica del CNR con sede a Firenze e al Laboratorio Europeo di Spettroscopie Nonlineari (LENS). Il mio campo di ricerca è l’ottica quantistica: lo studio dell’interazione tra luce e materia quando questa è governata dalle leggi della meccanica quantistica, che descrive bene, ad esempio, il comportamento di singole particelle di luce (fotoni) e degli atomi. Sto lavorando a diversi progetti tutti legati alla realizzazione di una interfaccia tra fotoni e atomi freddi. In particolare, mi occupo di realizzare sistemi che permettano l’uso di luce per la comunicazione tra dispositivi quantistici di diverso tipo e l’interazione tra luce e atomi raffreddati e intrappolati su chip della dimensione di una monetina.
Questi esperimenti richiedono un’attenta progettazione degli apparati sperimentali, che devono essere molto accurati, e hanno come scopo individuare le tecniche ottimali per realizzare una rete di dispositivi quantistici su grandi distanze e per miniaturizzare e rendere più semplice l’utilizzo di queste nuove tecnologie».