Museo del Calcio, a lezione di sport per essere campioni nella vita
Silvia Maci, colonna portante del Museo Del Calcio, ricorda la storia di Fino Fini e spiega il vero significato dello sport: “I valori del calcio e dello sport sono fondamentali in campo ma soprattutto nella vita quotidiana: l’ansia da prestazione, il valore della vittoria e quello della sconfitta, per poter migliorare se stessi e provare a risalire verso nuovi traguardi”
“Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia”
Così cantava Francesco De Gregori in uno dei suoi classici “La leva calcistica della classe ’68”. Era il 1982, l’anno dei Mondiali di Spagna, che regalarono all’Italia una delle vittorie più belle della storia dello sport. E sono le parole del ‘Principe’ quelle che più mi vengono alla mente dopo aver ascoltato Silvia Maci, storica coordinatrice della Fondazione Museo del Calcio ed erede di colui che l’ha fondata: Fino Fini, direttore del Centro Tecnico Federale di Coverciano dal 1967 al 1995.
E’ noto che l’idea di realizzare il Museo del Calcio sia nata in occasione dei mondiali di calcio del 1990 con i lavori di ampliamento del Centro Tecnico Federale di Coverciano, sede del settore tecnico della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) e che la struttura sia stata inaugurata il 22 maggio 2000, alla presenza dell’allora Ministro per i Beni Culturali, Giovanna Melandri, e delle massime autorità federali e civili. La parte veramente interessante di ogni progetto sta dietro alla passione delle persone e Fino Fini ne aveva da vendere, in particolare per la storia della Nazionale, della quale è stata medico sportivo per vent’anni, dal 1962 al 1982.
Una passione che il Dottor Fini ha condiviso con Silvia Maci: il loro rapporto personale e di fiducia nacque sui banchi dell’ISEF di Firenze, dove Fini insegnava e dove fu il relatore della tesi di diploma della giovane studentessa: «Nel 1994 – racconta – mi propose di collaborare con lui al progetto del Museo del Calcio. Coverciano era sempre stato il mio sogno e, senza pensarci un attimo, dissi subito di sì!»
Da colei che oggi è la colonna del Museo del Calcio, ascolto parole piene di ammirazione per il suo mentore: «Da medico della Nazionale, Fino Fini ha potuto conoscere tutti i giocatori da dentro gli spogliatori. Da direttore di Coverciano, ha visto passare giocatori di tutte le categorie. Alla fine delle partite si faceva dare le maglie: un gesto lungimirante, che testimonia come l’idea di dare vita a un museo del calcio fosse stata presente lungo tutta la sua carriera. L’obiettivo non era tanto raccogliere questi preziosi cimeli, ma soprattutto tramandarli ai giovani. Gli capitò di trovare dei vecchi trofei nei magazzini della FIGC a Roma e non esitò a portarseli via, intuendone da subito l’incommensurabile valore, anche per essere il simbolo di avvenimenti sportivi meravigliosi che aveva vissuto in maniera diretta. Ha lavorato giorno e notte al Museo del Calcio fino all’età di 90 anni, lasciandoci nel 2020, a 92 anni. Da allora è stato introdotto nella Hall of Fame del calcio italiano».
L’idea che sta alla base della Fondazione, come si legge nel sito ufficiale, è la convinzione che il calcio, grazie al suo linguaggio universale, è veicolo di valori fondamentali quali solidarietà, sacrificio, altruismo, generosità e giustizia, ed è uno strumento chiave di integrazione e superamento di qualsiasi barriera, sia essa linguistica o culturale.
Per compiere questa missione il Museo organizza dei percorsi formativi rivolti ai ragazzi: «I valori del calcio e dello sport sono fondamentali in campo ma soprattutto nella vita quotidiana. Lo spiegano due psicologhe dello sport, che aiutano i ragazzi a gestire le emozioni provate durante la pratica sportiva: l’ansia da prestazione, il valore della vittoria e quello della sconfitta, per poter migliorare se stessi e provare a risalire verso nuovi traguardi. Siamo convinti che non bisogna essere campioni a tutti i costi. Il bambino deve giocare e divertirsi. Se non è un campione, non importa: deve praticare sport e divertirsi tutta la vita, usando l’attività sportiva come un veicolo per migliorare la propria autostima. Non manca anche un percorso sul giornalismo sportivo e sull’importanza delle competenze comunicative in questo ambito. Insieme allo staff medico della FIGC e al cuoco ufficiale della Nazionale diamo infine consigli sull’alimentazione, soprattutto in relazione all’attività fisica».
Giocare a Coverciano è un sogno per molti ragazzi: il Museo ha creato un pacchetto che dà l’opportunità di allenarsi sui campi del Centro Tecnico, come fanno i calciatori della Nazionale quando vengono qui in ritiro. Si può anche mangiare nel ristorante frequentato dai campioni e concludere la giornata con la visita alla collezione museale.
«Il nostro messaggio – puntualizza Maci – è che i giocatori della Nazionale non sono dei supereroi. Hanno certamente doti personali straordinarie, ma i loro risultati sono frutto di un grande lavoro individuale, fatto di perseveranza e fatica e di un lavoro di staff, dal giardiniere al preparatore atletico, dal medico al fisioterapista, fino ai preparatori tecnici. Vogliamo far capire ai giovani che nello sport i risultati si raggiungono solo con l’impegno. È un messaggio seminato da Fino Fini e che diffondiamo ancora oggi, insieme al nuovo presidente Matteo Marani».
Un museo aperto a tutti e a tutte: «Siamo inclusivi e attenti alla comunicazione di genere e abbiamo un rapporto speciale con le Azzurre della Nazionale Femminile di Calcio. Di recente le abbiamo fatto incontrare con alcune giovani calciatrici under 12. Ospitiamo ragazzi disabili che svolgono percorsi di alternanza scuola-lavoro».
Un museo accogliente, fatto per far sentire le persone come a casa: «Il visitatore, tra il nostro personale, trova sempre qualcuno disponibile a raccontare un aneddoto, un evento, un tassello della grande storia della Nazionale. Un viaggio che affascina tutte le generazioni e ricco di connessioni con le vicende politiche del nostro paese».
A fine aprile la collezione del museo si è arricchita con una preziosa donazione: la maglia indossata da Roberto Baggio nella partita Italia-Messico disputata all’Artemio Franchi di Firenze il 20 gennaio 1993, e conclusa con il successo della Nazionale italiana per 2-0: «Baggio è uno dei calciatori più amati, non solo per le sue capacità tecniche ma anche per le sue doti umane. Conosciuto anche dai ragazzi più giovani – fatto non scontato – è stato un grande giocatore, ma non si è mai dato delle arie e non ha mai vissuto da campione, dimostrando una grande umiltà. È molto amato anche per quanto ha sofferto, per i tantissimi infortuni. Con fatica e dolore, è riuscito ogni volta a riprendersi e a tornare grande, grazie alla sua straordinaria forza di volontà».