Mati 1909, il verde che cura

Particolare giardino dedicato al disturbo dello spettro autistico
I giardini terapeutici di Mati 1909, l’azienda co-gestita da Andrea Mati, confermano l’efficacia del rapporto tra natura e benessere dei pazienti
Andrea Mati è considerato uno dei massimi esperti italiani nell’ideazione di verde terapeutico progettato per rispondere alle esigenze delle utenze fragili e per ridurre, grazie al diretto contatto con la natura, la somministrazione di farmaci nei protocolli di cura.
I suoi giardini terapeutici sono esposti nei vivai dell’azienda di famiglia, Mati 1909 a Pistoia, dove sono presentati in forma di progetti sperimentali da proporre a rsa, cliniche, strutture socioassistenziali e ospedaliere e comunità di recupero.
Il suo forte impegno sociale è radicato anche nella cooperativa sociale Giardineria Italiana, che ha dato vita al vivaio di San Pantaleo, un giardino polifunzionale che ha lo scopo di formare professionalmente giovani e adulti provenienti da situazioni di difficoltà.
Lo abbiamo incontrato nella sede dell’azienda, che la sua famiglia ha fondato all’inizio del XX secolo.

Mati 1909 è un’azienda vivaistica che negli anni ha alimentato uno spirito imprenditoriale attento alla differenziazione. Ciascun fratello si occupa di un settore seguendo le sue inclinazioni: Francesco è garden designer, promuove la cultura del verde nelle scuole e ricopre da anni incarichi istituzionali nazionali e locali; Paolo nel 2013 ha creato Toscana Fair, una nuova attività fondata sull’amore per la cucina e i prodotti dell’orto; lei, Andrea, è un paesaggista con una particolare vocazione per l’impegno sociale.
Insieme dirigete l’Accademia Italiana del Giardino, che organizza corsi per giardinieri, architetti e appassionati che vogliono approfondire la conoscenza del verde. In base alla vostra esperienza, qual è il contributo che il vivaismo può portare alle comunità e al benessere collettivo?
«La coltivazione di piante e alberi rivestirà un ruolo centrale nell’immediato futuro. L’umanità ha un bisogno costante di piante per le città, per aree marginali, per il recupero di aree industriali dismesse o cave, per creare grandi viali e giardini in aree urbane ed extraurbane.
Senza dimenticare la crescita di giardini in spazi privati e del verde terapeutico, che sta assumendo un’importanza sempre maggiore, sia negli ospedali pubblici e cliniche private, che nelle aree verdi.
Occorreranno, dunque, alberi e arbusti ben coltivati, con apparati radicali sani e forti, resistenti e appartenenti a specie selezionate, per affrontare le caldissime estati e i problemi causati dai cambiamenti climatici. Tutto questo verde non può essere affogato nel cemento e abbandonato a una manutenzione provvidenziale: piantare 1 milione di alberi non ha senso se il 90% di essi poi non sopravvive perché non vengono realizzati adeguati impianti di irrigazione.
L’importanza della corretta manutenzione, che parte dal consiglio del vivaista al giardiniere preparato, è, a mio avviso, un tema di grandissima importanza per la qualità della vita delle future generazioni.
Il genere umano ha bisogno del verde per ottenere l’ossigeno necessario al proprio fabbisogno e per assorbire l’anidride carbonica prodotta dal nostro corpo e dal nostro inquinamento, per ridurre la presenza di metalli pesanti, di pulviscolo atmosferico nell’atmosfera, di sostanze tossiche e presenti nelle nostre falde acquifere e nei nostri cibi. La crisi climatica, poi, impone la presenza di più verde e più natura per assicurare condizioni di vita più sostenibili per il genere umano».
Quali sono i benefici delle piante sulle persone e in cosa consiste il rapporto simbiotico che si può instaurare tra l’essere umano e la natura?
«Il tema è complesso ma il nostro lavoro si può riassumere come un continuo studio, trasformato in attività, volto a portare il genere umano verso una profonda riconnessione con la natura. La tecnologia, straordinario supporto nel vivere quotidiano, ha portato enormi miglioramenti ma al contempo, gravi disagi nella nostra esistenza, tra cui il progressivo disinteresse nei riguardi di animali e piante a noi vicini e fondamentali per la prosecuzione del genere umano sul pianeta.
Da qui nasce l’idea di creare piccoli, medi e grandi giardini per la riconnessione con la natura: spazi di varie dimensioni appositamente pensati e progettati per coloro che presentano tutta una serie di problematiche, più o meno invalidanti, ovvero patologie degenerative e compromissorie delle capacità cognitive e psicologiche.
Disturbi dell’attenzione, del comportamento, alimentare, demenze, ma anche per chi soffre di tematiche molto comuni, legate all’ansia ed alla depressione, il male del nostro tempo.
La rivoluzione del metro quadro verde, tema che descrivo nel mio libro “Salvarsi con il verde”, rappresenta l’obiettivo del grande cambiamento a cui tutti siamo chiamati: ognuno di noi può e deve prendersi cura della piccola realtà in cui vive preservandola dall’ inquinamento.
È uno stile di vita che va coltivato come una pianta. Possiamo imparare molto dai nativi americani che dicevano della terra, dell’acqua, del sole e del vento: non sono appartenuti ai nostri avi, non appartengono a noi né apparterranno a nostri pronipoti, ognuno è solo custode di questo meraviglioso patrimonio».
Come ha applicato tali benefici al suo progetto dei giardini terapeutici?
«Nei nostri progetti scegliamo sempre con attenzione le piante sulla base dell’ambiente pedoclimatico in cui ci troviamo a lavorare, affinché crescano sane e forti, condizione questa fondamentale, se ci si vuol prendere cura di persone fragili. Inoltre, i nostri giardini terapeutici hanno sempre un’impostazione che li rende polifunzionali: mai creare ghetti, mai isolare il malato, il verde aggrega, integra, mette a suo agio.
Le piante sono scelte tra quelle che offrono la possibilità instaurare una vera interazione col paziente e con tutti coloro i quali vogliano utilizzare i suddetti spazi verdi, anche e soprattutto a livello preventivo. Grande importanza rivestono gli orti, gli arbusti ornamentali, i piccoli alberi, le piante da frutto, così come è indispensabile fare esperienza, seppur minima, in giardino.
Come ricordano sempre i medici coi quali mi confronto spesso, l’aspetto più importante è quello esperienziale, piuttosto che quello sensoriale, per una vera esperienza terapeutica.
Non si cura con una semplice passeggiata in un parco per quanto possa essere benefica. In particolare, per curare le dipendenze (dall’alcol, dalla droga o dal gioco) occorre un giardino ad alta manutenzione, dove siepi, prati e arbusti vengono tenuti in ordine di continuo. Attraverso il verde e attraverso un grande lavoro psicologico, si sostituisce la dipendenza con una relazione diretta con le piante.
Nel giardino dedicato ai disturbi dello spettro autistico ho creato delle nicchie verdi di varie dimensioni e con tipologie diverse di piante in cui i ragazzi autistici possano rifugiarsi. Questo dona loro un grande senso di protezione e di sicurezza, anche a livelli diversi di gravità.
Nelle nicchie del giardino che ho realizzato in un centro diurno pistoiese per giovani affetti da disturbi dello spettro autistico, gestito da Agrabah, i ragazzi sostano dieci minuti o anche due ore e in entrambi i casi è un segno positivo.
Per migliorare la salute delle persone con sindrome di Down e anche delle persone con patologie psichiatriche ho pensato a uno spazio aperto, al centro del quale ho collocato un’aiuola: qui ogni pianta è stata adottata da un ragazzo, che se ne prende cura. Nella parte finale di questo spazio aperto, c’è un piccolo giardino segreto con una grande nicchia che d’estate si riempie di rose.
Al centro del giardino ho lasciato una pianta molto sofferente: è il simbolo di quello che facciamo, del fatto che non realizziamo giardini dove se le piante non sono perfette vengono buttate via, ma dove vengono curate se ne hanno bisogno. Come al tempo stesso curiamo le persone».
Alzheimer, Sindrome di Down, disturbi dello spettro autistico, depressione e disturbi dell’umore: a ogni patologia corrispondono differenti criteri progettuali in base ai quali realizzare gli spazi di cura. A quali principi si è ispirato e come è riuscito a far dialogare e integrare discipline scientifiche come la medicina e la psichiatria da una parte e la botanica e l’architettura del paesaggio dall’altra?
«Inizialmente mi sono basato sulla mia esperienza ultratrentennale con la Comunità di San Patrignano di Rimini e con la Comunità Incontro di Terni. Da molti anni, infatti, seguo la realizzazione di giardini tradizionali e terapeutici per queste comunità. Spesso in questi centri ho avuto a che fare con persone colpite da patologie di vario tipo, non solo da problemi di dipendenza da alcool, stupefacenti e gioco.
Nel tempo, dunque, con il mio gruppo di lavoro abbiamo iniziato un confronto con medici specialisti, tra cui psichiatri, geriatri, primari di medicina generale di vari ospedali. Ritengo fondamentale il confronto con la medicina ufficiale, in quanto questo dà un valore scientifico al lavoro che svolgiamo.
È fondamentale affidare le proprie idee, anche se nate da lunga esperienza nel campo del verde terapeutico, alla verifica scientifica competente: stiamo parlando di aiutare persone fragili, colpite da malattie e da disturbi anche molto gravi, quindi, soltanto un’equipe specialistica, può decidere se la nostra cura integrativa può veramente essere valida ai fini terapeutici.
Da alcuni anni, quindi, il Gruppo Mati 1909 ha sviluppato un ramo di azienda dedicato alla sola progettazione e realizzazione di giardini terapeutici, spazi studiati in ogni minimo dettaglio destinati a persone affette da deficit cognitivi: giardini in grado di essere un valido aiuto alla medicina tradizionale nel percorso di cura e riabilitazione.
Senza sostituire la medicina e la scienza, ma come terapia integrativa per il benessere dei pazienti, il contatto tra uomo e natura è stato dimostrato avere effetti benefici sulla salute dell’essere umano: abbassa i livelli di stress, rafforza le difese immunitarie, aiuta a ritrovare vitalità e soccorre in una fase depressiva o difficile, come quella vissuta in conseguenza dell’emergenza pandemica.
In questi anni abbiamo realizzato diversi giardini terapeutici in rsa o aziende ospedaliere per alleviare le sofferenze di persone affette da Alzheimer o malattie depressive e, nel 2019, abbiamo realizzato un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Toscana nella rsa Argia di Figline Valdarno per la realizzazione di un ambiente interno ed esterno di un padiglione Alzheimer finalizzato alla sperimentazione di terapie non farmacologiche.
Queste tipologie di giardino, progettati in base alle metodologie di cura adottate da ogni direzione sanitaria, sono calibrate sulle esigenze degli utenti e sugli obiettivi terapeutici da ricercare. Sempre più evidenze scientifiche ne rilevano i benefici sull’esito clinico dei percorsi di riabilitazione cognitiva e fisiologica, il ruolo nella riduzione del carico farmacologico sul paziente e nel miglioramento della qualità dell’assistenza con i caregiver e i familiari.
Una frequentazione regolare degli spazi verdi riduce infatti l’assunzione di medicinali del 20-30%.
In generale, il riflesso positivo riscontrato sulla persona in cura si riverbera su tutto il nucleo familiare e sui professionisti che la seguono. Posso dire che vivono un’altra vita.
Per curare patologie come l’ansia e la depressione, ho in cantiere un nuovo progetto da realizzare, che prevede un ambulatorio all’aperto e sette spazi chiusi nel verde, dove avvengono sette esperienze diverse.
La persona può fare delle esperienze nella natura: strofinarsi sulle piante in fiore, per avere impressa su di sé la sensazione piacevole del profumo; confrontarsi in silenzio con un albero e capire la relazione che si può stabilire con esso; imparare a nutrirsi di ortaggi e frutta, concentrandosi su quello che sta mangiando, in modo da accogliere la natura dentro di sé.
Altri due progetti in fase di realizzazione sono quello sui disturbi alimentari e quello sull’elaborazione del lutto».
Quali caratteristiche avrà il giardino terapeutico che nascerà nel 2024 a Cesena? «Anzitutto sarà realizzato in ambiente pubblico. Questo consentirà a bambini, adolescenti e ad altri frequentatori del parco, di relazionarsi coi malati di Alzheimer, di avere un confronto diretto con loro, coadiuvati sempre, dalla presenza di un caregiver o di un ortoterapeuta specializzato e del personale sanitario specialistico.
Si rompe così un tabù e si crea una comunità amica del malato, si consente, ad esempio, ai bambini di comprendere il concetto alla base della terapia, in un giardino dedicato alla cura della malattia di Alzheimer, partendo proprio dalle piante che sono state selezionate e che stimolano una la memoria positiva a lungo termine del paziente.
Questo giardino segna un grande passo avanti nel campo della cura nel verde ed apre le porte ad un reinserimento sociale di grande pregio, proprio perché svolto all’interno della vita pubblica».

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