• 17/01/2025

la cultura, quarto pilastro dello sviluppo sostenibile

TOSCANA ECONOMY la cultura, quarto pilastro dello sviluppo sostenibile
Silvia Costa

In Italia lo chiamiamo più spesso Recovery Fund, perdendo però il senso di responsabilità verso le nuove generazioni racchiuso, invece, nell’espressione scelta dal Consiglio d’Europa per descrivere il pacchetto di misure per la ripresa post Covid ovvero “Next Generation Eu“. Lo ha voluto puntualizzare subito, Silvia Costa per sottolineare anche il carattere “rivoluzionario” insito nel provvedimento.

La cultura è il quarto pilastro dello sviluppo sostenibile. Se non c’è investimento nella cultura, la cultura non si rigenera, non è vero che è una risorsa illimitata.


Basta una generazione di ignoranti per distruggere un patrimonio e negli ultimi 10 anni a onor del vero le dinamiche culturali dello sviluppo sono state sostenute attivamente  dalla Comunità Europea, e io mi sento di avere dato il mio piccolo contributo attraverso molti progetti,  ma ora urge un’accelerazione e “Next Generation Eu” si muove proprio in questa direzione. Proviamo a fare degli esempi concretiTra 10 anni, il 75% dei lavori sarà diverso da quello di oggi, per accompagnare questo cambiamento non occorrerà solo lo sviluppo di nuove competenze specifiche, bensì sostenere un adattamento culturale che ci prepari ai nuovi contesti in cui ci troveremo ad operare. Gli studi umanistici e filosofici sono usciti dalla porta per rientrare dalla finestra, ad esempio oggi non esiste un’equipe di programmatori  digitali che non tenga conto di un approccio “di visione” e per fortuna! Qualsiasi operazione, anche tecnologica non può essere affidata solo ai tecnici. Guai se fosse così! Mi viene in mente la digitalizzazione degli archivi e delle  biblioteche che per un Paese ricchissimo di memoria come l’Italia è funzionale al suo rilancio. Il futuro dei musei è quello di diventare sempre più interattivi attraverso l’uso di nuovi linguaggi, ma si tratta di un’operazione culturale, oltre che specialistica.  L’antidoto è quello del filosofo Luciano Floridi, direttore del Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford, di cui sposo in toto il pensiero secondo cui “più il mondo è tech, più ha bisogno di filosofia etica“. Questo se vogliamo davvero parlare di modernità e non di modernismo.

La cultura è diventata trasversale a tutti i programmi europei. Nei prossimi anni ci attende una rivoluzione copernicana che consisterà anzitutto nell’integrazione di diverse dimensioni e linguaggi.


Se da un lato progresso non significherà solo digitalizzazione,  allo stesso tempo sarà impensabile tornare all’antico. Il Covid  ha imposto l’accelerazione di un processo di innovazione che prevede l’integrazione di presenza e remoto e in questo modo sperimentazione di nuovi linguaggi, offerta, pubblici e produzione. 
Un esempio di evoluzione dei linguaggi ci viene offerto dal mondo dei videogames
Per le persone della mia generazione i videogiochi erano associati alla violenza e ad un certo  imbarbarimento culturale, al contrario, oggi, esistono illuminati esempi di videogioco applicato al patrimonio culturale e all’education. Questo è un settore che ha davanti a sé una prateria e per il mercato italiano ed europeo sta diventando una scommessa, oltre che un’opportunità. In Italia sono già in essere dei progetti che vedono la collaborazione di giovani autori di videogiochi con il Cnr. Il nostro Paese vive molto di turismo, non a caso l’Italia è la meta in cima ai sogni dei viaggiatori di tutto il mondo, questo ha comportato giocoforza una sofferenza maggiore dell’intero comparto in seguito alla pandemia. Ma il Covid ha messo in evidenza anche la fragilità strutturale della cultura nel nostro Paese, lo status degli artisti e di tantissime categorie che lavorano non solo da precari, ma senza nessuna tutela. Un’altra criticità emersa è quella  della suddivisione regionale delle politiche, il decentramento in assenza di un coordinamento forte a livello centrale si è rivelato assolutamente inefficace mettendo in luce il federalismo delle disuguaglianze, perché alcuni territori – e la Toscana tra questi – hanno reagito sicuramente meglio di altri, anche grazie a direttori di musei capaci e competenti, ma occorre ripensare la gestione globale, a mio avviso.

Infine il Covid ha mostrato che dal punto di vista delle competenze digitali il nostro Paese è molto indietro, è un gap che occorre colmare.


Se prima l’alfabetizzazione informatica era legata soprattutto alla presenza di figli all’interno del nucleo familiare, alla cultura o al tipo di impiego, oggi, è diventata un’esigenza per tutti e così come è stato fatto anni addietro per l’alfabetizzazione in senso stretto occorrerà alfabetizzare informaticamente l’intera  comunità.


Silvia Costa è stata la presidente della Commissione per la cultura e l’istruzione al Parlamento Europeo dal 2014 al 2017





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