La bioeconomia della canapa – Intervista a Domenico e Giuseppe Vitiello, titolari di Canapafiliera srl
Nata tra le province di Lucca e Pisa, Canapafiliera è una nuova realtà imprenditoriale che apre scenari importanti per l’agricoltura e per le cartiere della zona. Rispetto al passato, le potenzialità di questa coltivazione hanno, oggi, una ricaduta decisamente importante. La canapa è inserita tra le pratiche colturali ammesse dalla Politica Agricola Comune
Partiamo dalle basi. Cos’è la canapa e per cosa si utilizza?
«Carta, fibre tessili, conglomerati leggerissimi per i cappotti isolanti degli edifici, lettiere per gli ippodromi, insetticidi naturali, acqua tonica per la nostra pelle. Cosa lega insieme questi prodotti così diversi tra loro? Semplice, l’origine. Si fanno tutti con la canapa e in modo naturale, producendo e riutilizzando biogas, restituendo carbonio in profondità ai terreni, “mangiando” CO2 ovviamente, come per tutte le coltivazioni di piante verdi. Una volta, in Italia, eravamo i leader europei di produzione, oggi la importiamo dall’Est.
Un tempo la sua coltivazione era assai diffusa per ricavarne carta e fibre tessili, corde, dette appunto “canapi”. Negli ultimi decenni, l’uso è andato perduto anche per la difficoltà a coltivarla senza incorrere in problematiche dovute alla sua stretta parentela con le selezioni ricche di Thc, una delle più famose sostanze psicotrope, conosciute con il nome di marijuana, illegale da produrre. Quella che si presta meglio alla lavorazione industriale è la “cannabis sativa”, con Thc quasi assente, mentre la “cannabis indica” è quella ricca di stupefacente e proibita.
Oggi, per fortuna, si sta riscoprendo il valore di questa pianta generosa che sta scalando posizioni su posizioni nei settori della cosmesi e della nutraceutica con il suo olio dalle proprietà anti age e anti infiammatorie.
Il suo uso antico, tradizionale, invece fatica a riaffermarsi perché è più difficile ricollegare le filiere che portavano la fibra di canapa alle cartiere, ai produttori di filati, di cordami. Oggi pochissimi lavorano fibre naturali. Anche separare la preziosa fibra dal fusto legnoso, il canapulo, non è così banale. Prima la pianta tagliata veniva lasciata a macerare nei laghi e in piccoli invasi, oggi non sarebbe possibile per le fermentazioni che si innescano con l’ossidazione».
Come è nata la vostra azienda?
«Abbiamo unito le nostre competenze (Domenico è agronomo e Giuseppe ingegnere, ndr) per inventare un nuovo modo di far macerare la canapa sativa in ambiente controllato e sigillato, anaerobico. Dai nostri brevetti è nata Canapafiliera srl, una start up innovativa riconosciuta dalla Regione Toscana, ai margini del grande e bellissimo parco di San Rossore, vicino al lago di Massaciuccoli, proprio dove un tempo si faceva macerare le piante di cannabis sativa.
È un processo microbiologico brevettato in anaerobiosi e termofilia con ceppi batterici selezionati che fanno il loro lavoro dentro una vasca chiusa di circa 300 metri cubi. Durante il processo recuperiamo anche il biogas che si forma con la fermentazione che reimmettiamo nel ciclo».
Adesso quindi saremmo pronti per tornare a usare la canapa in modo industriale e naturale
«Sì. Il tema della transizione ecologica e della sostenibilità inizia a cambiare i nostri processi produttivi. La richiesta di materie prime naturali, sostenibili e di qualità è in costante aumento. La canapa può essere la soluzione per l’industria cartaria, per quella tessile, senza dimenticare la bioedilizia per produrre pannelli termoisolanti e fonoassorbenti».
Però manca ancora qualcosa
«Secondo le nostre stime servirebbero almeno mille ettari coltivati a canapa in Toscana per alimentare le nuove filiere e per mandare a regime i nostri impianti che possono lavorare circa 10mila tonnellate all’anno di sostanza secca. Non sono facili da trovare. Noi siamo pronti a fornire i semi da coltivare e a seguire tutti i processi, poi però ci vogliono i terreni e gli agricoltori».
Eppure coltivare la canapa rigenera i terreni
«Abbiamo partecipato a un progetto a Taranto per recuperare terreni compromessi da metalli pesanti. È una pianta che cresce in fretta, e non necessita di molta acqua e prodotti chimici. Dovendo crescere in altezza scende in profondità con le radici e riesce ad assorbire i metalli pesanti che finiscono nel fusto. Una volta tagliata, le radici senza inquinanti restano nel suolo apportando sostanza organica. Non in superficie, come un qualsiasi fertilizzante naturale, dove se ne disperde circa la metà per l’ossidazione, ma in profondità dove il carbonio resta tutto biodisponibile».
Anche la qualità dei vostri prodotti è diversa da quella che importiamo dai Paesi dell’Est
«Il nostro processo è naturale, a basso impatto ambientale. La nostra fibra macerata è adatta alla produzione di carta e tessuti di pregio. La qualità è ben diversa da quella prodotta nei Paesi asiatici dove si usa la chimica, soda caustica in particolare, che per la sua azione corrosiva diventa pericolosa per l’ambiente e indebolisce la stessa fibra da trattare: la nostra qualità della fibra made in Italy del marchio IHF- Italian Hemp Fiber inizia dalle coltivazioni in campo fatte secondo il Disciplinare della coltivazione della fibra di canapa di qualità ancora prima del trattamento industriale di lavorazione e macerazione microbiologica.
Quindi, cari agricoltori è il momento di credere nella bioeconomia e riallacciare le antiche filiere, a volte le innovazioni arrivano dalle vecchie tradizioni».