• 12/02/2025

Il metodo Fody

 Il metodo Fody

Luca Freschi, fondatore e ceo di Fody

Abbiamo intervistato Luca Freschi, fondatore e ceo di Fody, che ci ha raccontato il metodo particolare della start up

Una start up innovativa nata nel 2020 che lavora a fianco del terzo settore, ridando valore a ciò che apparentemente non lo ha più. Fody, società benefit con sede a Pistoia è impegnata nella trasformazione di scarti tessili in coperte salvavita, che dona a persone e animali in condizioni di emergenza.

La trasformazione da scarto a coperta avviene attraverso programmi di socializzazione, formazione e inclusione professionale di persone, che a causa di condizioni psicofisiche o sociali, risultano temporaneamente o sistematicamente emarginate dal contesto economico e lavorativo. L’azienda è stata selezionata dal progetto PRISMA (PRato Industrial SMart Accelerator), La Casa delle Tecnologie Emergenti di Prato.

Ha vinto il Premio Luce! come start up inclusiva ed è tra le vincitrici dell’edizione 2022 del Premio Cambiamenti di Cna Toscana Centro, dedicato alle nuove imprese di micro-piccole dimensioni che hanno saputo innovare prodotti e processi.

Nella carta di identità di Fody c’è scritto Eco Social Fabrics: come descrive l’impatto che l’azienda vuole generare sull’ambiente e sulle persone?

«Noi vogliamo concentrarci non solo sull’aspetto ecologico, ma tenere in pari considerazione l’aspetto dell’inclusione sociale e la tutela dei diritti delle persone e degli animali. Fody utilizza un modello di lavoro che parte da scarti tessili, i quali vengono presi in carico da laboratori di formazione e inclusione professionale dedicati a persone con disabilità intellettiva.

Con circa la metà del materiale che ci arriva realizziamo coperte che doniamo in tutta Europa a persone senza tetto, rifugiati e animali che vivono nei canili. L’obiettivo è di arrivare, entro il 2030, a produrre un milione di coperte. Tutto questo con mille persone che abbiano avuto la possibilità di usufruire dei nostri percorsi e la valorizzazione di mille tonnellate di scarti tessili.

Un ottimo supporto l’abbiamo ottenuto dal distretto tessile di Prato, dove molte aziende, anche tra le più grandi, ci stanno utilizzando come alternativa allo smaltimento precoce degli scarti. Da Prato ci arrivano regolarmente tutti i materiali ormai privi di utilità produttiva. Abbiamo ottenuto, inoltre, un ottimo riscontro da aziende che ci hanno coinvolto nella realizzazione di gadget promozionali (corporate gifting) per i clienti o i dipendenti, affidandoci dei budget.

Esse vogliono investire in responsabilità sociale, finanziando le nostre attività di sviluppo. All’interno del progetto PRISMA abbiamo ottenuto una collaborazione molto importante di Open Innovation in ambito di sostenibilità con l’azienda Faliero Sarti: sta collaborando con noi per la realizzazione di una nuova linea di prodotti, fatti con i loro mezzi metri di campionario e dotati del passaporto digitale di prodotto, realizzato insieme a un’altra start up.

Abbiamo instaurato un rapporto molto proficuo con il Comune di Prato, attraverso l’assessore all’Innovazione Benedetta Squittieri e abbiamo una serie di progetti in corso con Start up Italia e con Nana Bianca, al fine di portare avanti una cultura dell’innovazione volta alla sostenibilità. Vogliamo spingere le aziende del distretto pratese a adottare soluzioni pratiche e attuabili per ridurre il loro impatto energetico, ma soprattutto a creare inclusione sociale sul territorio».

Grazie a voi due associazioni del territorio si sono aggiudicate un bando del valore di 110mila euro. Ce ne può parlare?

«Si tratta di un bando promosso da Enel Cuore, con il quale sono state beneficiate l’associazione Il Sole ADP, che lavora sull’autonomia delle persone con sindrome di Down e la Fondazione Il Raggio Verde, che svolge attività di terapia, studio e ricerca sulle persone affette da disturbi dello spettro autistico. Noi li abbiamo inseriti nel nostro contesto lavorativo, valorizzando delle risorse che in partenza verrebbero sottovalutate.

Secondo noi, infatti, lo scarto tessile può avere ancora un valore, così come le persone che spesso sono considerate ai margini della società possono trovare un loro percorso per diventare indipendenti, produttivi e consapevoli. Partiamo dalla persona emarginata e la trasformiamo in una persona professionalmente coinvolta, retribuita e inserita in un contesto continuativo.

Per arrivare a questo abbiamo definito un percorso a tre step che parte dall’attivazione di laboratori inclusivi, in cui gli utenti delle associazioni possano capire cosa facciamo e familiarizzare con il materiale. Noi, osservandoli, individuiamo le loro abilità individuali e creiamo dei percorsi personalizzati. Nella seconda fase, corrispondente al bando citato, si vanno ad aumentare le ore e i giorni di attività lavorativa e i ragazzi coinvolti vengono formati e iniziano a percepire una retribuzione.

Al termine di questo primo round di progetto, ci auguriamo di poter dare ai soggetti che hanno fatto i migliori progressi la possibilità di essere assunti con un ruolo fisso all’interno del nostro laboratorio. Lavorare con il terzo settore per noi vuol dire anche dargli quella dignità professionale che molto spesso in passato è mancata.

In questo senso, il Premio Luce! è stato motivo di grandissimo orgoglio, in quanto arriva da chi veicola informazione ed è dedicato a ecologia, inclusione e tutela dei diritti umani. Sono i temi al centro della nostra attività e sapere che sono stati ritenuti validi ci riempie di soddisfazione. Oltre agli aspetti positivi, tengo a sottolineare anche le difficoltà che abbiamo incontrato: una delle più grandi è stata riuscire a far capire alle aziende che questo tipo di iniziativa può dare loro dei vantaggi immediati.

Non si tratta di filantropia, ma di scegliere un fornitore che abbia le stesse caratteristiche di un’associazione benefica che vorrebbero sostenere in maniera ordinaria. È molto importante far capire alle aziende e alle istituzioni che esistono nuove imprese che, pur mantenendo un forte contatto con la profittabilità e l’erogazione di servizi economicamente rilevanti per i propri partner, riescono a produrre un impatto positivo superiore a quello di qualsiasi altra impresa.

Tali imprese riescono a fare tutto quello che serve solo con persone o risorse che normalmente non sarebbero considerate. Oggi è sempre più determinante rendersi conto che esistono delle alternative ai gadget cinesi o agli oggetti del colore che va di moda. Se usciamo da questo tipo di mentalità, capiamo quanto si possa fare meglio con meno e ottenere di più.

Poiché gestire lo scarto ha sempre un costo, dal mio punto di vista è molto meglio gestirlo per convertirlo in qualcosa di utile e produttivo, invece che smaltirlo o stoccarlo temporaneamente. Sui 17 SDGs dell’Agenda 2030, noi ne impattiamo positivamente 8 e attraverso le nostre collaborazioni vogliamo arrivare al 2030 con un impatto positivo anche su tutti gli altri».

TOSCANA ECONOMY - Il metodo Fody

Oltre ad aver fondato una sua realtà imprenditoriale, lei si è attivato anche nel favorire lo sviluppo di altre aziende innovative. Mi riferisco alle vostre proposte in tema di strategie ad alto SROI per le aziende che vogliono avere un impatto sociale. Di cosa si tratta?

«In sostanza, si tratta della co-progettazione e della realizzazione di campagne d’impatto. Un primo filone riguarda le aziende impegnate in responsabilità sociale di impresa, che hanno degli obiettivi e dei budget destinati a questo. Tali budget vengono applicati in due modi: finanziando delle attività in ottica di compensazione – creare una foresta su Treedom, donare del cibo a un canile, pagare una vacanza ai lavoratori con disabilità intellettiva. In questo caso, proponiamo un impatto a tutto tondo, producendo con gli stessi budget un ritorno che è circa il triplo rispetto alle iniziative verticali sul settore.

Un secondo filone ci vede nell’accompagnamento delle aziende o delle associazioni su progetti a lungo termine. Pianifichiamo insieme a loro gli obiettivi in termini di inclusione sociale o valorizzazione delle risorse sottovalutate, avvalendoci proprio del metodo che abbiamo consolidato nella nostra start up: impattare contemporaneamente l’aspetto ecologico, l’inclusione sociale e la tutela dei diritti delle persone fragili.

Per esempio, Croce Rossa ci ha chiesto di consegnarle circa 5mila coperte salvavita e noi ci stiamo organizzando per individuare i fornitori e le persone che possono lavorarle. Infine, doniamo i nostri manufatti ad associazioni del terzo settore che vogliono raccogliere fondi attraverso iniziative solidali».

Oltre a presiedere Fody, lei è impegnato come coordinatore di Business Shuttle, un progetto di Confimprese. In cosa consiste?

«Confimprese è un’associazione che rappresenta le imprese del retail contemporaneo e i grandi gruppi di distribuzione organizzata nei vari settori, in franchising e di proprietà: dalla ristorazione all’entertainment, dall’abbigliamento ai servizi conta pochissimi membri e lavora con 450 marchi, appartenenti a circa 300 proprietari.

Sviluppa attività di lobbismo attivo a tutela del settore retail e ha contatti con i legislatori italiani ed europei. Nel 2022 ha avviato uno studio con il Politecnico di Milano per rafforzare la sua componente innovativa. Lo studio ha prodotto Business Shuttle, un programma di corporate matching che consente a start up innovative italiane, con prodotti o servizi adatti a essere applicati nell’ambito del commercio organizzato, di entrare in contatto diretto con i leader del settore e di abbattere quelle barriere che normalmente le start up si trovano davanti.

Per esempio, mi piacerebbe moltissimo che Fody potesse lavorare con un’azienda leader nella produzione di divani, sapendo bene che questo tipo di lavorazione dà origine a milioni di metri quadri di scarti. Di base, una start up giovane e ancora poco conosciuta come Fody non riuscirebbe a sedersi allo stesso tavolo. Business Shuttle elimina proprio quel gap, facendo una preselezione delle start up e presentandole ai propri partner e ai propri associati.

Per la start up il vantaggio è di potersi sedere al tavolo dei grandi, per gli associati è il fatto di poter avere una selezione di soluzioni fortemente innovative che loro stessi non avrebbero saputo individuare per dimensioni e metodo di lavoro e poterle integrare nello sviluppo delle proprie aziende. Ancora non ho candidato Fody perché in questa fase ho preferito mantenere la mia trasparenza, senza creare alcun conflitto di interesse.

Tuttavia, in futuro la candiderò sicuramente perché in quel contesto potrebbe trovare maggior consenso: fornisce infatti un servizio utile alle aziende di grandi dimensioni che faticano a creare delle iniziative di impatto basate su lavorazioni “lente”. Se, infatti, piantare un albero a distanza è un’operazione veloce, non lo è altrettanto creare un percorso formativo per una persona con disabilità intellettiva. Spero che questo programma possa promuovere in Italia una cultura di innovazione legata alla collaborazione tra aziende già solide e mature e le realtà innovative che sono costantemente esposte al rischio di fallimento.

TOSCANA ECONOMY - Il metodo Fody

Se una start up non trova una forte traction entro i primi tre anni, a meno che non stia sviluppando una tecnologia abilitante, tende fisiologicamente a scomparire e perde l’innovazione che avrebbe potuto introdurre. Questo è il messaggio che vorrei lanciare attraverso Business Shuttle: mettiamo insieme le realtà più forti e solide che guidano una parte di mercato con l’innovazione più pura e anche più fragile, in modo tale che si perda meno innovazione e le aziende leader diventino più innovative.

A livello professionale mi occupo di business design strategico e negli ultimi quattro anni mi sono concentrato su modelli di business ESG. Cerco di integrare sempre un elemento di equilibrio in tutti i progetti che facciamo. Business Shuttle, in particolare, vuole garantire un equilibrio tra i vantaggi riservati alle grandi aziende e quelli riservati alle start up. I rapporti che si devono creare devono essere sani: non si deve né cannibalizzare un’innovazione, né approfittare del traino mediatico dovuto al fatto di lavorare con un grande brand».

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Giulia Baglini

Giornalista specializzata sui temi dell’innovazione e della sostenibilità

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