Giulio Lombardo, l’uomo della svolta di Brachi Testing Services
Brachi Testing Services è tra le aziende leader a livello mondiale nei test chimici, ed è l’unica impresa italiana ad avere una sede in Cina, grazie all’impegno di Giulio Lombardo, nipote del capostipite. Il suo motto, inciso su un bracciale che indossa sempre, è la frase di Alessandro Magno “Nulla è impossibile per colui che osa”. Ma non chiamatelo “figlio di” o “nipote di”.
Brachi Testing Services è una realtà pratese, nata all’inizio degli Anni Settanta. È tra le più importanti al mondo nel settore dei test e delle analisi che spaziano dal tessile, l’abbigliamento, la pelle, il cuoio, le componenti metalliche e non metalliche, le calzature, fino alle acque di scarico e la condizionatura delle materie tessili per determinarne il peso mercantile. Il laboratorio non esegue solo analisi chimiche, ma anche test sulla resistenza, l’infiammabilità e la tenuta dei colori. Incontriamo, nella sede di Prato, Giulio Lombardo, direttore commerciale e marketing per l’Italia, ceo delle aziende all’estero. Nipote del capostipite, giovane uomo e imprenditore illuminato, è entrato in azienda subito dopo essersi laureato ed ha capito di dover dare una svolta, facendo qualcosa di importante, per se stesso e per l’attività di famiglia. A lui si devono alcune novità fondamentali che riguardano l’internazionalizzazione, l’innovazione e la sostenibilità.
Com’è riuscito a far sì che Brachi Testing Services si aprisse ad un’internazionalizzazione senza precedenti, e che fosse la prima e unica azienda italiana ad avere una sede in Cina?
Quando entrai in azienda, nel 1999, girando per il laboratorio capii che vi erano delle mancanze, per esempio non c’era la figura commerciale. Iniziai ad uscire e a parlare dell’azienda in modo strutturato, e la cosa prese piede, così fui nominato direttore commerciale e marketing. Già allora iniziai a guardare all’estero con lo stesso interesse con cui vi guardavano i grandi brand della moda; nel frattempo, vivere l’azienda mi aveva fatto capire che alcune cose le avrei fatte diversamente, ma che qui nella sede pratese, non avrei potuto farle a modo mio; quindi pensai che se avessi dimostrato di riuscire a realizzarle altrove, sarei stato visto con un occhio diverso, non solo come responsabile commerciale ma come imprenditore, e non sarei stato né il figlio, né il nipote di. Nel 2004 decisi quindi di fare il mio primo viaggio in Cina con la mia fidanzata di allora, oggi moglie e madre dei miei tre figli. Mi allettava la sfida di dimostrare che non è impossibile per un’azienda italiana fare affari in Cina, del resto il mio motto, che ho inciso su un bracciale che indosso sempre, è “nulla è impossibile per colui che osa”. La Cina mi ha subito affascinato, ed ho lavorato duramente affinché Brachi diventasse la prima e unica azienda italiana ad avere una sede lì. Dal 2003 al 2014 sono stati anni durissimi, tante le difficoltà, gli scoramenti, i pianti; nel 2006 aprimmo la società, e da lì iniziai a stare in Cina per settimane, mesi, perché solo vivendo quella realtà si può capire come funziona la testa del cinese, che è completamente diversa dalla nostra, non peggiore o migliore, ma diversa. È necessario porsi senza presunzione, ma con l’idea di fare le cose in modo che ne traggano vantaggio entrambe le parti. Ed è fondamentale capire che non basta investire in Cina, bisogna andare lì, perché il cinese instaura solo rapporti di fiducia, senza la quale non accoglie nessun partner. Io ci ho messo la faccia e, dopo enormi sforzi, l’azienda che sono riuscito ad aprire è oggi per me motivo di grande soddisfazione, personale ed economica. Sicuramente avere un investimento stabile in Cina aiuta anche l’azienda a Prato, perché con i grossi volumi che riesco a fare posso investire in Italia. E inoltre siamo diventati il punto di riferimento per i brand più importanti del mondo, che fanno affari in Oriente e hanno necessità di avere una certificazione per i prodotti che immettono nei loro negozi in Cina, che può essere rilasciata solo da aziende con sede sul territorio cinese. Quindi, dal nostro storico impegno di testare i prodotti cinesi che entrano in Italia, siamo passati anche al poter fare le analisi e i test che servono ai vari brand per immettere il loro prodotto sul mercato cinese. E considerando che l’economia della Cina, anche post pandemia, è quella che cresce di più, si capisce bene quanto sia un business importante per noi.
Molti vedono nella Cina un nemico e non un possibile alleato. Lei smentisce categoricamente tutto questo con la sua esperienza imprenditoriale.
Il 99,9% delle aziende che vedono la Cina come un nemico e non come un possibile alleato, non vi è mai stato ma parla solo per sentito dire. Avendo vissuto la Cina, e posso dirlo perché ad oggi ci sono stato ben novantaquattro volte, so per certo che è un Paese che bisogna saper gestire, ma il cinese ha tutto l’interesse di fare affari con l’Occidente; siamo però noi a dover difendere il nostro know – how, che è l’unica cosa che non hanno. Se lo svendiamo per guadagnarci qualche soldo subito, rimaniamo con niente in mano perché, una volta che il cinese ha imparato, di noi non ha certo bisogno. Dal canto nostro, nel 2011 abbiamo ceduto il 30% della Brachi al governo cinese, che è il socio migliore che si possa desiderare; quello che facciamo è far funzionare le attività senza svendere il nostro know – how, ma trasformandolo in quote societarie per rimanere partner, anche perché presentarsi solo come consulenti, vuol dire farsi sfruttare per poi essere messi alla porta. Il cinese vuole vedere i numeri velocemente ed è quello che ho fatto. Non ho creato in Cina una piccola azienda, ma una grande impresa che dà lavoro a 37 persone; inoltre curo i rapporti personali, vado a cena con loro, dimostro di avere un progetto a lungo termine. Se lo si sa approcciare, il cinese è il partner economico più affidabile, ma se lo vediamo solo come compratore di nostre aziende e gli vendiamo il know – how, sbagliamo completamente.
In quali altre aree strategiche è posizionata Brachi?
Dopo la Cina, ho visto un grande sviluppo in Bangladesh e quindi nel 2015 vi ho aperto prima uno, poi un altro laboratorio. Andare in quel Paese è molto avvilente, poiché vi sono molte criticità, ma da un punto di vista imprenditoriale per me è un Eldorado. Abbiamo anche tre partnerships strategiche in Vietnam, India e Pakistan, dove abbiamo laboratori affiliati, che lavorano a marchio nostro, seguendo le nostre indicazioni. In questi giorni stiamo chiudendo anche un importante accordo con la Turchia. I brand di tutto il mondo ci vengono a bussare, perché vogliono lavorare con chi ha rapporti stabili con le maggiori sedi di produzioni.
Foto: Ester May
A livello internazionale Brachi è colonna portante dell’ineludibile tema della sostenibilità, intesa nel suo significato più profondo, che richiede di ripensare il rapporto tra uomo e pianeta sotto vari punti di vista, ossia ambientale, economico e sociale.
Pensando alla sostenibilità dobbiamo sempre ricordarci le 3 P di Planet, People e Profit e un’azienda ha il dovere di migliorare tutte le fasi aziendali. Nel dna di Brachi, proprio per la tipologia di azienda, c’è da sempre l’attenzione alla qualità del prodotto, che ricerchiamo con i nostri test di laboratorio. Oggi però è fondamentale porre attenzione anche alla salute delle persone e del pianeta, e il primo grande scossone in questo senso, lo ha dato Greenpeace con la campagna Detox del 2011, che ha spostato l’attenzione da quello che accadeva nei prodotti, a quello che accadeva nei processi di produzione. Intuendo quel cambiamento, abbiamo iniziato a porre attenzione al modo di produrre e all’organizzazione, perché come un’azienda impatta dal punto di vista sociale, etico, economico, è fondamentale. Capito questo, abbiamo parlato con Process Factory di Firenze per comprendere meglio cosa significasse sostenibilità e da lì sono nati, con il nostro supporto, sei protocolli, riconosciuti a livello mondiale. Prato e altri distretti industriali hanno reagito benissimo a questi protocolli sulla sostenibilità, perché la sfida lanciata da Detox doveva essere affrontata quanto prima. Ne è nato un dialogo, soprattutto con i brand della moda, che hanno affrontato il problema con tutta la filiera. Non sono molti ancora questi marchi, pochissimi quelli italiani, ma il percorso è iniziato e siamo fieri che Brachi sia stata l’acceleratore e che continui a crederci profondamente. Internamente all’azienda, per rendere migliore e, quindi, sostenibile la vita dei nostri dipendenti, stiamo ampliando gli spazi nel blocco accanto alla sede attuale, così potremo allargare la mensa e gli spogliatoi, e chi vuole uscire per fare sport o camminare in pausa pranzo, al rientro avrà modo di cambiarsi. Un imprenditore ha il dovere di assicurarsi che il dipendente stia bene e viva al meglio il tempo che trascorre in azienda.
La figura del Chemical Manager è un’ulteriore conferma dell’attenzione che Brachi pone sul tema della sostenibilità.
Sì, è la figura nata nel momento in cui l’azienda ha dovuto gestire delle tematiche che prima non c’erano. Il Chemical Manager, deve capire tutti gli aspetti che interessano il processo produttivo e che potrebbero influire negativamente sulla qualità dell’intero processo. Ha consapevolezza di tutto il rischio chimico e non solo di quello relativo al prodotto. Insieme con ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals) e Process Factory abbiamo creato un corso a cui hanno già partecipato centinaia di persone. Quella del Chemical Manager è una figura molto richiesta, che permette alle aziende di essere più competitive ed efficienti, per questo siamo orgogliosi di averla ideata e di contribuire alla sua diffusione.
E come si muove Brachi riguardo all’innovazione e alla digitalizzazione, aspetti fondamentali affinché un’attività produttiva ed economica riesca a stare al passo coi tempi e a non cadere come mosche di fronte ai competitors e ai Paesi più all’avanguardia?
In Brachi abbiamo due livelli di investimento in tecnologia ed innovazione. Uno riguarda i nostri strumenti di lavoro, soprattutto quelli per la ricerca di sostanze chimiche, perché da un lato le sostanze da ricercare sono sempre nuove, dall’altro perché spesso viene presa consapevolezza della nocività di sostanze che prima non si reputavano essere tali. Dobbiamo evolvere continuamente i metodi di analisi, e i macchinari devono essere sempre più sofisticati. L’altro livello di investimento riguarda l’informatizzazione aziendale, soprattutto perché negli ultimi anni il cliente ha espresso il desiderio di essere interconnesso con noi, e vuole che i dati vengano condivisi in tempo reale per poter gestire in tempi più brevi eventuali non conformità che riscontriamo con le analisi. Per accontentare questo desiderio dei clienti, e per automatizzare la gestione interna e dei processi di laboratorio, evitando quasi totalmente l’uso della carta, abbiamo iniziato da circa due anni e mezzo un processo faticoso e gigantesco, volto a cambiare il sistema di controllo. Le registrazioni e le richieste di test, anche in remoto, da parte del cliente, avvengono online e i rapporti delle analisi vengono redatti su fogli di calcolo. Al CRM commerciale abbiamo agganciato un sistema che rileva il carico di lavoro, per migliorare le prestazioni aziendali e intervenire sulle situazioni più critiche. Inoltre abbiamo fondato la Brachi Academy, gestita da mia cugina, che è entrata in azienda un anno e mezzo fa. L’Academy si occupa della formazione continua anche ai dipendenti del laboratorio, ed è un ulteriore passo avanti nel processo di informatizzazione. Più automatizziamo, più facilitiamo e rendiamo efficiente il nostro lavoro e quello dei clienti che si affidano a noi.
Come ha affrontato i mesi più duri della pandemia, anche se, c’è da dirlo, Brachi ha continuato a investire e assumere personale?
La pandemia mi ha permesso di fermarmi a valutare e capire molte cose, tra queste l’ottimizzazione del tempo, che oggi ho imparato a dividere equamente tra lavoro e affetti familiari. Il rapporto umano e diretto resta sempre la mia scelta preferita, ma per riunioni brevi o richieste minori, ho imparato a sfruttare la tecnologia. Ho rivalutato le priorità e ne ho guadagnato come persona, senza nulla togliere all’azienda, che anzi oggi vive un momento di massima espansione.
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