Forever Bambù un business circolare

Inclusa da Forbes tra i campioni della sostenibilità: Forever Bambù, realtà 100% italiana che ha dato vita a un nuovo modello di business circolare
Forever Bambù riunisce 29 società agricole, 249 ettari di superficie piantumati a bambù gigante e oltre 1500 soci provenienti da tutta Europa. Una soluzione concreta al problema del cambiamento climatico può essere il cosiddetto carbon farming, una pratica agricola che mira a catturare l’anidride carbonica all’interno del suolo, nelle radici, nel legno e nelle foglie delle colture.
L’obiettivo è ridurre la presenza di emissioni inquinanti nell’atmosfera, sfruttando al meglio la capacità del terreno e delle piante di immagazzinare CO2.
Tra le realtà italiane – citate nel rapporto GreenItaly 2023 di Fondazione Symbola – che hanno finanziato progetti volti al sequestro di carbonio vi è l’iniziativa di Forever Bambù, che si estende su 249 ettari situati nelle province di Bergamo, Alessandria, Piacenza, Ferrara, Siena e Grosseto.
Proprio in Toscana, l’azienda ha fatto crescere il bambuseto più grande d’Italia: si trova a Castiglione della Pescaia e ha un’estensione di 103 ettari.
Come tutte le foreste create dalla società, nata nel 2014, anche quella toscana nasce da un terreno abbandonato e soggetto a degrado, che l’azienda ha recuperato e piantumato con un esclusivo protocollo agroforestale biologico e simbiotico.
Ne abbiamo parlato con Emanuele Rissone, presidente e fondatore di Forever Bambù, società benefit con 32 milioni di euro di capitale sociale versato.
Cosa l’ha spinta a scegliere il bambù gigante come fulcro del suo nuovo business?
«Nel 2013 avevo lasciato la mia prima attività, portata avanti per 25 anni: si chiamava Vitamin Store, era una catena di negozi che vendevano integratori alimentari. Dopo la nascita delle mie due figlie, ho iniziato a prendere coscienza di come poter lasciare un segno sul pianeta.
Anche Mauro Lajo, esperto in agricoltura sostenibile e padre di una figlia piccola, ha avuto lo stesso desiderio e insieme abbiamo cercato qualcosa che potesse aiutare il pianeta e che fosse industrializzabile, trovando nel bambù gigante l’alleato perfetto. Ho studiato tante fonti di energia, come l’eolico e il solare, ma solo nel bambù ho trovato una fonte intrinseca di sostenibilità.
Lo sforzo iniziale nel creare un bambuseto comporta molti investimenti, in tempo e denaro: 5 anni di cure per farlo crescere e 8-10 anni per farlo diventare maturo. All’inizio, l’osservazione legittima potrebbe essere che si tratta di un sacrificio enorme, ma bisogna considerare che quando la foresta è attecchita, essa continuerà a dare legna per 100-140 anni. Un vantaggio che una foresta normale non può dare: bisogna piantare un albero per tagliarlo, mentre il bambù una volta tagliato ricresce subito e foreste mature possono produrre decine di migliaia di tonnellate di legno».
L’impatto positivo dei bambuseti sull’equilibrio ambientale è stato misurato scientificamente e certificato. La Toscana ha fatto la sua parte anche in questo caso?
«Esatto, lo studio che evidenzia tutti i vantaggi del bambù è di uno spin-off dell’Università di Siena, la Indaco2. Si tratta di una società specializzata in valutazione ambientale e indicatori di sostenibilità, che utilizza metodologie come la LCA (Life Cycle Assessment) per tracciare il profilo ambientale di un prodotto. Attraverso indicatori come la carbon footprint, riescono a individuare azioni migliorative di mitigazione e compensazione degli impatti.
Lo studio ha valutato che il bambù gigante rimuove annualmente dall’atmosfera una quantità di anidride carbonica 36 volte maggiore rispetto a un bosco misto, con alberi di conifere e latifoglie. Il nostro metodo di calcolo di assorbimento della CO2 è certificato RINA ed è anche stato validato tramite critical review da sei docenti dell’Università di Siena».
La coltivazione del bambù, oltre ad avere un impatto positivo sul pianeta, può essere una forma di reddito e di investimento per le aziende. A questo scopo, avete creato il progetto “Forever Zero CO2”. Come funziona?
«Con Forever Zero CO2, stiamo proponendo alle imprese italiane la possibilità di compensare con le nostre foreste parte delle loro emissioni inquinanti. L’azienda che vuole ridurre le proprie emissioni prende in sponsorizzazione un pezzo di foresta equivalente alle emissioni da tagliare: con il contributo dell’azienda gestiamo e manteniamo sana la foresta e assorbiamo le emissioni, permettendo all’azienda di ridurre il suo impatto sul pianeta.
Si tratta del sistema che certifica quanto una singola piantagione possa assorbire CO2, permettendoci di emettere delle fatture alle aziende coinvolte. Un altro vantaggio è per il privato che, per passione, ha creato un piccolo bambuseto: tramite i nostri protocolli di lavoro, può vendere la sua CO2 acquisendo una redditività che, altrimenti, quella coltivazione non avrebbe avuto.
Il progetto è modulare e “customizzabile” e si rivolge a qualsiasi realtà: dando il loro supporto, start up, professionisti e aziende più o meno grandi possono migliorare il proprio rating ESG e, in generale, la propria green reputation».
Il sistema Forever Bambù propone un modello di economia circolare con importanti applicazioni nel campo della produzione di bioplastica e della bioedilizia. Ce ne può parlare?
«Si possono fare tanti progetti, ognuno si specializza in quello che sente più suo. Un desiderio di Forever Bambù è quello di sostituire le attuali plastiche con plastiche meno inquinanti. In particolare, stiamo lavorando con il cippato di bambù: dopo averlo micronizzato, lo leghiamo a della plastica riciclata e otteniamo delle bioplastiche con una quantità di CO2 ridotta della metà rispetto alle plastiche derivanti dai combustibili fossili. Siamo infatti convinti che il futuro sia nell’utilizzo di plastiche sempre più innovative e sempre più con matrice vegetale.
Riguardo alla bioedilizia, abbiamo realizzato dei mattoni che non sono portanti, ma che sono ideali per le pareti interne di una casa. Sono mattoni veramente semplici e naturali, capaci di assorbire tutto, dall’umidità ai suoni: sono fatti con argilla, polvere di bambù e sabbia.
Nei nostri nuovi uffici, le pareti hanno all’interno il bambù, per una percentuale del 30-40%. Sono pareti molto materiche, non lisce come siamo abituati a vederne, e questo le rende anche esteticamente apprezzabili. Insieme ai pavimenti, sono tutti elementi che contribuiscono a costruire l’immagine di una futura casa sostenibile e green».

Perché avete deciso di promuovere il corso di formazione per Carbon Manager?
«In questi ultimi tre anni, abbiamo lavorato nel mondo della sostenibilità e abbiamo parlato con aziende medie e piccole, ma soprattutto con delle multinazionali. Ci siamo resi conto che l’approccio delle grandi aziende è ancora poco professionale e poco conoscitivo. In particolare, ci siamo accorti di errori intrinsechi enormi, che le rendono incapaci di distinguere il vero dal falso.
Partiamo dal presupposto che noi di Forever Bambù siamo stati i primi a certificare in maniera trasparente e immutabile la compensazione ottenuta nelle nostre foreste: per ogni lotto di terreno è prevista la creazione di un NFT (Non Fungible Token), comprensivo di informazioni come le coordinate geografiche, l’estensione in ettari e la quantità e il valore di CO2 assorbita.
Grazie alla tecnologia blockchain rendiamo pubblica ogni piccola porzione di foresta, in modo che il proprietario possa rivendicarla ovunque nel mondo, fino a che ce l’ha in gestione.
Si tratta del progetto MyBambù NFT, premiato con il Best Green Innovation Project ai Green Award al Blockchain Revolution Italian Summit a Trento. Lo abbiamo creato per risolvere il problema che riguarda le frodi sulla validità dei certificati di compensazione, che spesso vengono duplicati e venduti a più compratori o vengono usati per compensare la CO2 emessa da più di un’azienda.
Quando abbiamo visto che le aziende interessate alla compensazione non erano consapevoli della falsità di questi certificati, ci siamo resi conto della loro mancanza di capacità critica e abbiamo pensato che la figura, oggi latente nelle aziende, capace di colmare questa grave lacuna fosse proprio la figura del Carbon Manager. Abbiamo scelto dodici docenti, tre dei quali sono dell’Università di Siena, per un corso molto complesso che la Regione Lombardia ci ha riconosciuto e accreditato.
Siamo certi che tantissimi professionisti vorrebbero migliorare la propria posizione o cambiare lavoro, obiettivo possibile se si hanno le competenze necessarie per orientare le aziende in tema di sostenibilità.
E questo corso lo permette, creando una figura capace di molteplici abilità:
migliorare la sostenibilità della propria azienda o dell’azienda cliente; conoscere le norme in materia di efficienza energetica e sostenibilità ambientale; conoscere gli investimenti da fare per adempiere ai criteri ESG; calcolare la carbon footprint dell’organizzazione e delle sue parti; ridurre e compensare le emissioni di CO2 in modo rapido e concreto; applicare procedure di verifica delle prestazioni e analizzare le criticità di processo per gestire in modo sostenibile il processo di produzione; preparare un LCA dell’azienda o di uno specifico prodotto; imparare a comunicare in modo efficace e chiaro la sostenibilità dell’azienda.
Il corso è completamente online e certifica le conoscenze con un esame finale. Si è svolto da giugno a dicembre in tutta Italia, con un riscontro molto positivo. Per il 2024 dovrebbe essere inserito dall’ente Lombardia nel portafoglio dei corsi regionali».
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