• 18/01/2025

Educare alla sostenibilità, scelta etica

 Educare alla sostenibilità, scelta etica

Quale contributo può fornire la ricerca alle imprese per sviluppare la sostenibilità? La parola a Fabio Iraldo, professore alla Scuola Sant’Anna

Iraldo è condirettore del Laboratorio SuM – Sustainability Management della Scuola Sant’Anna, direttore del Green Economy Observatory all’Università Bocconi e vicedirettore del centro interuniversitario CESISP (Circular Economy, Simbiosi Industriale e Sostenibilità dei Prodotti), a cui hanno dato vita l’Istituto di Management del Sant’Anna, l’Università di Genova e il Politecnico di Torino.

Nel 2006 ha fondato ERGO – Energie e Risorse per la Governance dell’Organizzazione, prima società spin off della Scuola Sant’Anna nel settore dei servizi alle imprese. È autore di articoli sul ruolo delle imprese nello sviluppo sostenibile pubblicati su riviste scientifiche internazionali con Impact Factor. Nel 2020 è stato inserito fra i Top Italian Scientists nella categoria “Business Science”.

L’economia circolare è un nuovo paradigma di sviluppo che sta cambiando l’assetto mentale di cittadini e imprese. Come si arriverà a rendere la sostenibilità un tema verso cui tendere in maniera consapevole ed etica, superando i limiti del greenwashing?

«Ad oggi abbiamo un quadro di riferimento in cui molte imprese hanno colto la priorità dei temi legati alla sostenibilità e alcuni consumatori, in quota crescente ma non maggioritaria, hanno cominciato a operare le proprie scelte secondo dei criteri di sostenibilità. Tuttavia, per arrivare all’obiettivo occorre fare un salto di qualità, che venga accompagnato anche da politiche pubbliche forti.

Ciò potrebbe consentire alle imprese di considerare la sostenibilità come una vera e propria priorità strategica e una priorità di business. Specularmente, i consumatori si convincerebbero a operare delle scelte d’acquisto che siano davvero basate su criteri di sostenibilità. Ad esempio, le performance di impatto ambientale dei prodotti dovrebbero diventare delle discriminanti nel decidere se acquistare un prodotto.

Per accelerare tale processo, occorrerebbe mettere a disposizione delle imprese degli incentivi, positivi o negativi: delle forzature che in qualche modo consentano alle imprese che si muovono sul fronte della sostenibilità di essere più competitive sul mercato. Tali incentivi al momento sono presenti in misura quasi trascurabile.

Si tratterebbe di agevolazioni fiscali, di semplificazioni normative per le imprese che abbiano certificazioni volontarie, di facilitazioni per le imprese che riescono a dimostrare che i propri prodotti hanno un’impronta ambientale minore inferiore rispetto alla media di mercato o a quella dei concorrenti. Penso anche a delle semplificazioni negli adempimenti: delle corsie preferenziali nell’ottenimento di autorizzazioni da parte di quelle imprese che dimostrano di avere delle performance dal punto di vista ambientale o sociale che sono superiori alla media.

Questa mancanza è una pecca del sistema: molti imprenditori si attenderebbero di vedere riconosciuti i propri sforzi da parte delle istituzioni, mentre i consumatori non sono agevolati nel loro percorso di scelta verso prodotti che siano più green.

TOSCANA ECONOMY - Educare alla sostenibilità, scelta etica
Fabio Iraldo

Come Sant’Anna abbiamo fatto alle istituzioni alcune proposte molto concrete: una di queste è l’abbattimento delle aliquote Iva sui prodotti realizzati con materiali di recupero e di scarto, sui quali l’Iva è già stata pagata. Perché non abbattere significativamente l’Iva su quei prodotti che sono fabbricati da materia prima seconda?

Questo potrebbe portare il consumatore ad avere incentivi positivi all’acquisto di quei prodotti, molto più significativi di quelli che hanno oggi. Non è solo una questione di consapevolezza: il comportamento e le scelte del consumatore vanno aiutate anche sotto il profilo economico».

Nel corso di Ecomondo ha contribuito a ricordare il percorso compiuto dal Distretto Conciario Toscano sulla strada della certificazione EMAS. Quali sono le sfide e le opportunità dell’economia circolare nel settore conciario?

«Il settore conciario è stato uno dei distretti che si è mosso per primo in passato, anche perché soffriva della convivenza con il territorio e dell’impatto ambientale, storicamente molto percepito dalle comunità locali. È stato, quindi, molto stimolato a impegnarsi già fin dall’inizio degli anni ‘90 in un percorso di miglioramento, legato all’utilizzo di tecnologie più pulite e all’adozione di soluzioni collettive che hanno consentito di superare i limiti e le carenze delle piccole e medie imprese del conciario.

Oggi la frontiera per il settore conciario è proprio quella legata all’economia circolare, in chiave di recupero potenziale degli scarti, non soltanto in fase di produzione ma anche di consumo. Le molte innovazioni tecnologiche che consentono il riciclo dei prodotti in pelle o la rigenerazione della pelle per essere reimpiegata nei cicli produttivi della pelletteria risultano ancora poco applicate e devono essere testate anche sul mercato.

Lo scopo è capire se quei prodotti di rigenero possano avere successo. Ciò consentirebbe di concepire fin dalla sua progettazione il prodotto di pelletteria come facilmente riciclabile a fine vita. In questo ambito, ci sono start up che stanno facendo delle interessanti sperimentazioni per portare gli scarti di pelle o i prodotti di pelletteria a fine vita a una rigenerazione di diverso tipo. Le tecnologie non sono ancora mature, ma ci sono ampi margini di miglioramento».

Come si esplicita l’impegno della Scuola Superiore Sant’Anna per diffondere alle nuove generazioni le competenze in tema di sostenibilità?

«Sono diverse le iniziative che noi dedichiamo non soltanto ai nostri studenti, ma anche a studenti di età inferiore a quella universitaria: è da lì che comincia la sensibilizzazione e la diffusione della conoscenza. Sui libri di scuola dei licei o delle medie inferiori – ed è già un grandissimo risultato – compaiono indicazioni sulle modalità di raccolta differenziata e sulle modalità con cui utilizzare materia prima seconda nei cicli produttivi.

Mi piace citare un’esperienza che abbiamo avuto quest’anno sui territori di Lucca, Prato e Pistoia insieme a Confindustria Toscana Nord: è il progetto “Sostenibilità – Usa la testa”, che mira a sviluppare la conoscenza da parte degli studenti delle scuole superiori della tecnica che permette di misurare l’impronta ambientale. L’obiettivo è poter fare affidamento su queste conoscenze scientifiche per operare le scelte sul mercato e aumentare la loro consapevolezza quando vestono i panni del consumatore.

In poche parole, senza lasciarsi ingannare da un’impostazione greenwashing, cioè una falsa rivendicazione di meriti che sono fragili dal punto di vista del fondamento scientifico. Educare quelle generazioni serve anche a orientarle verso un futuro percorso universitario e anche di carriera che abbia al centro le tematiche della sostenibilità e della tutela dell’ambiente. Non dimentichiamoci che in questo momento le competenze professionali basate sulla conoscenza dell’ambiente e anche della dimensione sociale sono molto richieste da parte delle aziende.

Preparare i lavoratori e i manager di domani ad avere nel proprio patrimonio professionale delle conoscenze di questo tipo è sicuramente una cosa buona dal punto di vista etico e sarà anche molto utile a loro per presentarsi in modo più robusto sul mercato del lavoro. La sostenibilità è una competenza trasversale alle materie disciplinari tradizionali.

Ha una matrice tecnica molto forte quando riguarda l’ambiente, ma ha anche una matrice organizzativa, gestionale, di comunicazione e infine giuridica, quando l’imprenditore deve prendere decisioni riguardo il rispetto della normativa in tema ambientale».

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Giulia Baglini

Giornalista specializzata sui temi dell’innovazione e della sostenibilità

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