E.V.A.: due giusti esempi di cosa fare e cosa non fare
Fin dalla sua fase primordiale di analisi ed applicazione pratica il processo E.V.A., Economic Value Added, ha suscitato un pizzico di ilarità lasciando spazio ad esordi forse un po’ triviali come sto per fare: la Eva ancestrale è l’esempio di cosa non fare, il più recente processo E.V.A. di cosa fare. Chi sono io per venire meno a questa tradizione ed evitare di evocare una forse piacevole, ma di sicuro sempre meno originale battuta? Dopo la necessaria “iniziazione” proviamo a parlare di cose serie, vale a dire del “cosa fare”.
EVA è acronimo di Economic Value Added, “valore economico aggiunto”. È un indicatore che, nella sua estrema semplicità, racchiude una finalità alquanto complessa: comprendere se l’azienda sta generando valore, se sta semplicemente facendo un più o meno consapevole “passaggio di carte” o, peggio ancora, se sta distruggendo valore. È anche una metodologia utilizzata per dimensionare il valore di un’azienda, sia essa in fase di cessione o per altre finalità.
Di primo acchito vengono alla mente tanti indicatori, alcuni dei quali già raccontati in questa rubrica, che potrebbero assolvere alla questione. Ricordiamo il MOL, l’EBIT e lo stesso risultato di esercizio. Pur riconoscendo la bontà e la buona fede del dubbio, si può eccepire che a tutti, proprio a tutti, manca qualcosa per definire la creazione di valore di un’azienda, di un processo in un determinato lasso di tempo, che l’EVA ha provato a risolvere. Partiamo dalle formule. Se espresso in termini assoluti (euro) la formula sarà:
EVA ass = NOPAT – (WACC * capitale investito)
Se si intendesse esprimere l’EVA in termini percentuali (%):
EVA perc.le = EVA ass / capitale investito.
La formula è composta dai seguenti elementi:
- NOPAT– Net Operating Profit After Taxes (reddito operativo netto dopo le tasse);
- WACC– Weighted Average Cost of Capital (costo medio ponderato del capitale investito);
- CAPITALE INVESTITO– capitale complessivo impegnato in azienda.
Prescindendo dalla reportistica fino a qui conosciuta, bilancio in primis, unitamente ad altre forme di aggregazione e rielaborazione delle informazioni presenti in azienda, la determinazione dell’EVA porta ad un ulteriore grado di consapevolezza: richiede la ricostruzione del vero e destagionalizzato risultato aziendale (NOPAT). Si determina il capitale complessivamente investito, vedremo meglio come fare. A questo capitale si applica il suo costo (tasso) per determinare la remunerazione in valore assoluto totale dello stesso. Con questa operazione abbiamo pesato l’effetto di tutti i fattori della produzione, alcuni dei quali insiti nel risultato di periodo tradizionale risultante dal conto economico (vedasi ad esempio la remunerazione del fattore “lavoro”). Se il NOPAT risultante è superiore al costo del capitale investito l’azienda sta creando valore. In caso contrario sta distruggendo valore. Adesso focalizziamo l’attenzione sulle principali regole per determinare al meglio le grandezze necessarie al calcolo dell’EVA.
Il NOPAT si può determinare tenendo conto di questi passaggi:
Reddito operativo – Imposte effettivamente pagate + Accantonamento per imposte differite + Plusvalenze di gestione del magazzino (con il metodo Lifo è contabilizzato a valori non correnti) + Spese trasferite a immobilizzazioni immateriali ad utilità pluriennale + Ammortamento dell’avviamento + Accantonamenti a fondi rischi specifici+ Accantonamenti per spese future.
Il CAPITALE INVESTITO è composto dal capitale proprio (capitale netto) e dal capitale di terzi (finanziamenti da banche ed altre istituzioni). La sua determinazione ha come base di partenza il capitale proprio, investito dai soci, quello apportato a titolo oneroso da terzi finanziatori ed altre fonti di capitale ad onerosità esplicita. A questo livello detti valori vengono rettificati per normalizzare l’elemento, neutralizzare l’effetto delle politiche fiscali e dei principi contabili ispirati ai principi di prudenza ed all’attendibilità propri della costruzione del bilancio.
Pertanto il capitale investito contabile va rettificato con:
+ Riserve per imposte differite + Riserva Lifo (metodo di gestione delle scorte di magazzino) +
Sommatoria degli ammortamenti dell’avviamento +Sommatoria di componenti straordinarie di reddito (positive o negative) al netto dell’effetto fiscale + Riserve per spese future + Fondi rischi generici.
Il WACC è la risultante di due elementi: la remunerazione del capitale di terzi e la remunerazione attesa del capitale proprio. Per la prima la rilevazione è semplice perché si può assumere dai contratti di finanziamento. Per la seconda è più complesso. L’attesa del rendimento del capitale proprio investito in azienda, considerando anche la remunerazione del rischio d’impresa, è di sicuro superiore ai rendimenti flat, privi di rischio, come ad esempio i titoli di stato. Pertanto il wacc risulta da:
(capitale di terzi * tasso contrattuale di remunerazione) + (capitale proprio rettificato * (tasso di rendimento atteso = rendimento flat + remunerazione del rischio))
Per quanto ovvio ad un risultato di minima distruzione di valore non si deve in alcun modo buttare tutto per aria. Le risultanze sono frutto di convenzioni e scelte di campo, non ultimo il tasso di remunerazione atteso per il capitale proprio. Deriva sicuramente da elementi oggettivi ma ha la possibilità di essere anche interpretato e contestualizzato.
E’, però, innegabile che, in presenza di ulteriori meccanismi di allerta, che vanno nella stessa direzione, il dato può essere letto in tutta la sua cruenza. A questo punto l’informazione assume un significato, non certo lapidario ma sicuramente migliore della massima attenzione e, auspicabilmente, generatore e stimolatore di un cambio di rotta per riportare l’EVA in positivo.
Come già evidenziato la seconda formula definisce l’EVA in termini percentuali sul capitale investito. Le riflessioni non cambiano, cambia solo il punto di osservazione della realtà aziendale, da assoluto a percentuale.
In ultima analisi l’EVA è importante o meno? Senza rispondere direttamente spero di aver rappresentato il mio punto di vista. I modelli e le regole sono particolarmente utili, meno utili se presi alla lettera, molto più utili se ben compresi, interpretati e calati nella propria realtà. D’altronde lo stesso Verga, in altre occasioni, e per altri contesti, ammetteva che “le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta.”
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