Dal talento alla professione
Con Matteo Pais alla direzione artistica, l’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino punta a formare professionisti completi, giovani con talento pronti alla professione, promuovendo inclusione, innovazione e una preparazione vicina alle esigenze del mercato internazionale
Nel cuore del capoluogo toscano, patria del melodramma e dell’opera lirica, si trova l’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, centro internazionale di alta formazione dell’omonimo Teatro dell’opera. Un luogo di grande cultura che mira a valorizzare, tramandare e diffondere la ricca tradizione operistica italiana.
La prestigiosa preparazione professionale si rivolge ai giovani talenti che intendono dedicarsi alle arti e ai mestieri del teatro d’opera. A garantire la qualità della proposta didattica è il corpo docente costituito da artisti di comprovata fama e da professionisti esperti del settore. Toscana Economy ha intervistato il nuovo direttore artistico dell’Accademia, Matteo Pais, proveniente dalla Fondazione Toscanini di Parma – dove ha rivestito il ruolo coordinatore artistico – e con oltre 25 anni di esperienza in veste di collaboratore e assistente musicale presso teatri e festival prestigiosi in giro per il mondo.
Da alcuni mesi riveste il prestigioso ruolo di direttore artistico dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, cuore dell’alta cultura musicale. Quali sono gli obiettivi che si è prefissato? Può già tracciare un bilancio di questi primi sei mesi di attività?
«Il primo obiettivo è quello di portare avanti e consolidare quanto finora è stato fatto sotto la guida del maestro Tangucci e dal direttore Ioseffini. L’Accademia è oggi, senza alcun dubbio, un’eccellenza a livello europeo, nella formazione delle figure principali del teatro d’opera. Detto questo, l’obiettivo principale del mio mandato è quello di offrire ai nostri giovani artisti un’esperienza sempre più vicina a quella che troveranno nel mercato del lavoro durante la loro carriera, cercando di metterli di fronte allo stesso livello di confronto.
A titolo di esempio, l’aver principalmente affidato le masterclass a direttori d’orchestra: il direttore d’orchestra è la figura con la quale un cantante o un pianista si confronterà per tutta la vita, che obbliga il giovane artista a un approccio alto allo spartito musicale e al testo. Prossimamente verranno in Accademia direttori quali Riccardo Frizza, Omer Wellber e Renato Palumbo. Altro esempio: sviluppare sempre più l’attenzione e l’amore per la regia teatrale e la drammaturgia con l’obiettivo di portarle allo stesso livello di percezione, da parte dei nostri artisti, della voce o della tecnica pianistica. Questo, a differenza di venti o trent’anni fa, è un requisito fondamentale per il cantante o maestro collaboratore di oggi».
Alla luce della sua consolidata esperienza in teatri internazionali, quali sono le principali criticità che oggi deve affrontare un giovane talento per affermarsi in questo settore?
«Il mercato del lavoro è difficile e complesso anche nel mondo del teatro. I conservatori sfornano ogni anno più cantanti e pianisti di quelli che il mercato è in grado di assorbire. C’è una selezione naturale altissima, non appena un musicista si diploma. Per emergere e consolidare la propria carriera bisogna possedere non solo il talento, ma anche un’ottima organizzazione mentale – una “testa” diciamo così – e una motivazione fuori dal comune. In Accademia, noi dobbiamo far passare tutti i giorni questo messaggio, ovvero che per un cantante non debba esistere solo la voce o per un pianista solo le mani. Noi dobbiamo formare non solo artisti, ma professionisti a tutto tondo, in linea con i requisiti del mercato di oggi».
Qual è il valore aggiunto della formazione che offre l’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino? Quali sono i punti di forza?
«Riprendendo quanto dicevo prima, l’esperienza di vivere per due anni in un’opera studio è fondamentale per lo sviluppo di un giovane. Si vive a contatto con grandi artisti, si vive dentro un teatro, se ne assorbono i meccanismi, i codici, si partecipa dal di dentro alle produzioni, si entra in quel ritmo di studio tipico del professionista.
Aumentano le scadenze, le richieste, gli obiettivi, lo stress da gestire. Insomma, si esce trasformati da un’esperienza come questa. Io, per esempio, non ho avuto questa fortuna, poiché quando ho iniziato non esistevano percorsi così dedicati e specifici. Ho dovuto imparare tutto direttamente sul campo, lavorando in un contesto non protetto.
Un’opera studio oggi, in Italia o in Europa, possiamo definirla come l’anticamera di una carriera. Inoltre, siamo fortunati in quanto l’Accademia è strettamente organica al Teatro: è sì un ente di formazione per artisti e maestranze, ma allo stesso tempo lo Young Artists Program è impostato come un ensemble, quasi “alla tedesca”.
Questo è il valore aggiunto della nostra Accademia: i nostri artisti possono concretamente prendere parte a tutte le produzioni, con ruoli di fianco, come cover di ruoli principali o in alcuni casi anche con ruoli protagonisti, accumulando nel biennio quelle “ore di volo”, o meglio, “di palcoscenico”, che non sarebbero possibili se non qui. Tengo a dire, inoltre, che da quest’anno i nostri maestri collaboratori entreranno a rotazione in stage nella squadra dei maestri collaboratori. Questo è uno tra i risultati più importanti dall’inizio del mio incarico».
La musica non ferma certo le guerre, ma può essere un potente strumento di aggregazione. Unire culture, talenti ed esperienze apparentemente distanti, per creare nuove dimensioni di comunità – a suo avviso – è “un miracolo” che la musica è in grado di generare?
«Le rispondo citando dei numeri. Abbiamo ricevuto circa 450 domande di ammissione, provenienti da 38 paesi. Tra tutte, abbiamo selezionato 16 giovani artisti di 9 differenti nazionalità, europee ed extraeuropee. Questi 16 artisti vivranno per due anni a stretto contatto, frequentandosi ogni giorno e prendendo parte alla vita del Teatro del Maggio.
Questa è una ricchezza di cui dobbiamo tenere conto. L’Accademia oltre a rappresentare un momento fondamentale nella vita di un giovane artista è quindi anche un altissimo esempio di condivisione, comprensione reciproca e soprattutto inclusione tra ragazze e ragazzi con provenienze, culture e storie differenti, tema oggi quanto mai attuale ed estremamente importante.
Inoltre, con l’obiettivo di promuove e diffondere la cultura musicale tra le nuove generazioni, l’Accademia ha dato vita al Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino e al Coro dei piccoli cantori, vera scuola propedeutica al canto corale, disciplina che – forse più di tutte – aspira allo sviluppo dell’ascolto reciproco, della collaborazione e dell’inclusione sociale. Rimanendo nella quotidianità del lavoro, ho scelto di aprire ogni masterclass con un momento collettivo di discussione, in cui l’artista ospite parla di sé, del proprio lavoro, risponde e pone domande diventando – davanti ai nostri giovani – il vivo racconto di un’esperienza.
Il mio obiettivo è quindi quello di portare in Accademia la dimensione del racconto, della parola, del dialogo, nell’ottica di una crescita personale, oltre che musicale-teatrale dei nostri artisti. Inoltre, sognando un po’, vorrei che l’Accademia diventasse un luogo di discussione, sempre più aperto e ampio, con tavole rotonde e magari convegni.
Allo stesso tempo sto cercando di sviluppare il lavoro in team, sotto forma di workshop, dove cantanti e pianisti condividono un progetto, come la preparazione di un ruolo o un concerto, lavorando assieme. Infine, sperando di aver risposto alla sua domanda, ho la speranza che per i nostri giovani artisti l’Accademia possa significare vivere un’esperienza umana straordinaria».