• 19/05/2025

Cambiamento aziendale: quando e come?

Le teorie, in quanto tali, dovrebbero avere vita infinita ed essere valide per tutte le stagioni. La tecnica del pensiero laterale teorizzata da Edward De Bono e la matrice crescita e quota di mercato sviluppata dal Boston consulting group, ad esempio, si possono applicare alla situazione attuale?

Squadra che vince non si cambia! Se dovessimo applicare questa massima al sistema delle imprese la lampadina del cambiamento si accenderebbe di rado. Nell’ultimo periodo è maturata l’impressione che le vecchie regole, i modelli comportamentali precedentemente studiati e dimostrati, non potessero essere applicati nel contemporaneo. E questo già al netto della pandemia, che uno sport ormai nazionale considererebbe capro espiatorio di quanto non risolto, né risolvibile nell’immediato. Identifichiamo per semplicità due blocchi logici che l’azienda può modulare: la sua presenza sul mercato (prodotti, canali, altro); la combinazione dei fattori produttivi per essere sul mercato (processi, altro). Ammesso che un’azienda sposi il cambiamento restano due non semplici questioni: quando cambiare e in che modo? In risposta al quando, di primo acchito, verrebbe da pensare che il momento migliore sia quello in cui l’equilibrio derivante da presenza sul mercato e/o combinazione dei fattori produttivi non genera più quel valore aggiunto che ci si aspettava. In questa fase, tuttavia, la curva del decadimento potrebbe essere già troppo avanzata, con un recupero dell’equilibrio tutt’altro che semplice.

In aiuto potrebbe soccorrere la matrice crescita/quota di mercato che prende il nome da chi l’ha sviluppata ormai quasi mezzo secolo fa: Boston Consulting Group (BCG). Posiziona sull’asse verticale il tasso di crescita e su quello orizzontale la relativa quota, sempre di mercato. Ciascuno dei quadranti richiede strategie differenti. Se non ci si muove si corre il rischio di passare verso il quadrante peggiore.

TOSCANA ECONOMY Cambiamento aziendale: quando e come?


L’analisi della fase CASH COW (letteralmente “mucca da soldi”) potrebbe aiutarci nelle nostre questioni. Siamo in presenza di prodotti con alta quota di mercato, con prospettive di bassa crescita in quanto giunti nella fase matura del loro ciclo di vita. Non richiedono ulteriori investimenti e generano buoni ritorni che, però, dovranno essere utilizzati per lo sviluppo di nuovi prodotti che non potranno non partire dal quadrante QUESTION MARK. Si potrebbe anche continuare a sfruttare il posizionamento del quadrante CASH COW ma affiancando la consapevolezza che non durerà in eterno. Ecco, quindi, che si fa strada la possibilità di avviare il processo di cambiamento quando ancora “le cose stanno andando bene”, con riferimento non solo a quanto prodotto ma anche ai relativi processi. Altro avverbio non meno enigmatico: come, nel caso, si dovrà cambiare? Le possibilità sono molteplici ma non è detto che ciò evochi maggiore serenità per chi se ne deve assumere la responsabilità. Quanto meno sono possibili due blocchi logici nel portare avanti il cambiamento: modalità tradizionale e alternativa. La prima è considerata tale in senso statistico, vale a dire ciò che la maggior parte degli imprenditori farebbe in questi casi. La seconda è diametralmente opposta. In questo può soccorrere la tecnica del pensiero laterale, modello individuato da Edward De Bono, scrittore e psicologo maltese nato nel 1933, vero e proprio scardinatore del “è sempre stato fatto così”. Prima di lui era dogmatica la convinzione che la creatività dovesse essere associata all’artista: o la si aveva fin dalla nascita oppure no.

Da De Bono abbiamo, invece, appreso che la creatività può essere allenata e messa al servizio dell’impresa, anche per ricercare strade alternative, parallele alla soluzione dei problemi aziendali.


Con i nuovi percorsi di pensiero si cerca di rispondere al “come cambiare” in modo non scontato ed auspicabilmente proficuo. Queste teorie, che tanti proseliti hanno avuto dal loro esordio, possono essere ancora considerate attuali? Sono la giusta risposta a quanto le imprese stanno cercando? Lo abbiamo chiesto a Bruno Panieri, direttore Politiche Economiche di Confartigianato Imprese. «Non possiamo sottacere la particolarità della situazione – evidenzia Panieri – siamo in presenza di una complessità, ben al di là del fisiologico, in cui alle criticità maturate fino all’inizio del 2020 si somma la mannaia pandemica». Occorre distinguere le imprese che fin da prima, giusta la loro presenza ai margini del mercato, avrebbero dovuto riconvertire prodotti e processi, da quelle che, pur manifestando proattività e buona presenza sul mercato, avvertono l’opportunità di una rimodulazione. «Le evoluzioni di questi ultimi mesi hanno posto la ‘digitalizzazione’ al primo posto nell’elenco delle priorità aziendali – prosegue Panieri – abbattendo il credo secondo cui le piccole aziende potrebbero non essere interessate al vento del cambiamento. Non si pensi che il fenomeno riguardi soltanto imprese smart o imprese più strutturate: è lezione di questi tempi che ormai anche un acconciatore deve fare i conti, ad esempio, con la necessità di digitalizzare le prenotazioni, piuttosto che l’ottimizzazione dei servizi per gestire le vendite da asporto per le imprese impegnate nel Food e la gestione dello smart working per la gestione dei dipendenti in remoto».

Quindi “quando” e “come” cambiare? Subito, utilizzando metodi di base e quel guizzo che fa la differenza.


Le teorie enunciate, pertanto, sono più attuali che mai. Meno scontata è la loro interpretazione ed aderenza alle fasi congiunturali. Per questo occorre un ingrediente non sempre facilmente disponibile: la visione imprenditoriale del proprio business.


La pianificazione strategica va in crisi quando il futuro si rifiuta di assumere il ruolo assegnatogli dai pianificatori
(Edward De Bono)




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Umberto Alunni

Giornalista, consulente aziendale, motivatore, scrittore

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