B-Evolution, equità e sostenibilità per il futuro aziendale

Foto ©Fabio Mazzoni
B-Evolution, tenuto a Prato, ha riunito aziende e consulenti per discutere di equità, sostenibilità sociale e benessere organizzativo, promuovendo inclusione e gender parity
Si scrive equità, sostenibilità sociale, benessere organizzativo, si legge futuro. Non inteso come un qualcosa da raggiungere in anni di preparazione, piuttosto un futuro con cui fare i conti oggi e che per certe tematiche non può più aspettare. Era proprio questo l’obiettivo della seconda edizione di B-Evolution, organizzato al Museo del Tessuto di Prato grazie alle sinergie di due dinamiche aziende del territorio: Hubic e Matchdrive.
Un evento per le aziende che in questa occasione si è trasformato in arena in cui si sono confrontati i pensieri, le idee e gli strumenti che imprenditori e consulenti adottano nei rispettivi ambienti, al fine di garantire equità, benessere organizzativo e sostenibilità sociale.
Dopo i saluti di Alberto Torri, founder e consulente in controllo di gestione e business planning di Matchdrive, “B-Evolution è diventato un contenitore di confronto tra le realtà che noi vediamo nel futuro”, e il benvenuto del padrone di casa, il direttore del Museo del Tessuto, Filippo Guarini, “È un piacere ospitare un evento di questa importanza, in un luogo dove spesso si parla di contemporaneità”, Stefano Luccisano, Ceo di Macoev e moderatore d’eccezione, ha aperto i lavori inaugurando la prima tavola rotonda dedicata a responsabilità sociale, diversità e benessere organizzativo.
“Sono tre termini molto belli e importanti negli ecosistemi aziendali – ha esordito Valentina Sorbi, DE&I Expert, formatrice e coach presso TACK TMI – vogliamo provare a trovare una definizione comune? Partiamo da un presupposto: tutte le aziende, piccole, medie e grandi, sono fatte da persone e il dovere di un’azienda è creare eque opportunità di accesso. Diversità, equità, inclusione prima di tutto devono rappresentare il rispetto”.
Un tema complessissimo per essere racchiuso in una definizione, ma la cosa importante, come spiega Alessandra Porrini, Partnership Development Specialist in Dynamo Camp, “è prima di tutto creare una in tutti quei luoghi dove ci devono essere equità, diversità e inclusione. Come? Ci dev’essere unione di intenti tra i vertici delle aziende e le persone che la compongono: da una parte bisogna avere la capacità di ascoltare, dall’altra e sentirsi liberi di manifestare le proprie necessità”.
Ma quali sono i migliori strumenti da utilizzare per garantire equità e benessere? “Non c’è lo strumento giusto – ha concluso Elena Donati, Responsabile Sviluppo Toscana per ALI SPA – ma ci deve essere la volontà di introdurre qualcosa di diverso, così da attrarre le persone e farle rimanere. Tra i tanti possibili, quello che noi abbiamo introdotto è la settimana corta: lavoriamo quattro giorni alle stesse condizioni di chi lavora cinque. Non è stato un percorso semplice, abbiamo ascoltato le aziende e i lavoratori. Le cose sono andate bene, troviamo più facilmente talenti e le persone sono più felici e motivate”.
Nella seconda tavola rotonda, infatti, si è parlato di quali siano strumenti per ridurre il gender gap e promuovere la parità di genere in azienda. Come ad esempio la certificazione UNI/PdR 125:2022, prassi che definisce i temi da trattare per supportare l’empowerment femminile all’interno dei percorsi di crescita aziendale e nello stesso tempo evitare stereotipi e discriminazioni.
Ne ha parlato Luca Bisogni, Business Development Manager di RINA, multinazionale che fornisce servizi di certificazione in una vasta gamma di settori. “Ottenere questa certificazione per un’azienda significa valorizzare l’impegno nello sviluppare e comunicare politiche relative alla parità di genere. Fino al 2010 l’Italia era ultima a livello europeo in questi aspetti, ma negli ultimi due anni ha fatto un balzo notevole e oggi posiziona ottava. Quindi qualcosa si è mosso è la cosa non è da sottovalutare”.
In questo senso è fondamentale che in azienda ci sia la capacità e “la disponibilità a condividere una parte della leadership a un comitato sulla parità di genere, dandogli potere di decidere su particolari tematiche come l’inclusività e il gender gap – ha spiegato Matteo Marcone, Responsabile Sistemi di Gestione Lanartex – si tratta di una cosa complicatissima, un rischio che molte aziende fanno fatica a prendersi. Negli ultimi anni però si è iniziato a fare più engagement e a coinvolgere direttamente lo staff in politiche e iniziative che in precedenza non erano neanche prese in considerazione”.
Insomma, qualcosa si è mosso e continua a muoversi. Vietato però pensare che in aziende più piccole il percorso sia più semplice, come ha fatto intendere nel suo intervento Giada Ciompi, Co-founder e Head of Digital di Hubic: “Il nostro percorso è partito con l’ascolto delle necessità dei nostri dipendenti, per capire quali fossero le politiche più adatte e necessarie. Ad esempio con lo smart working, che abbiamo introdotto progressivamente, sono stati i nostri ragazzi a suggerire quale fosse il giusto equilibrio”.
C’è anche chi attua determinate politiche da sempre e che, grazie alla certificazione, le ha potute mettere nero su bianco. Come la Graziani SRL, rappresentata dal consigliere di amministrazione Maria Graziani. “La certificazione ci ha aiutato a formalizzare una serie di politiche in essere da diversi anni. Ad esempio retribuendo con doppia mensilità alla nascita di un nuovo figlio, o concedendo lo smart working già pre-pandemia con accordi individuali. La certificazione è importante, ma senza una cultura di base si fa poca strada”.
Molto interessante anche la testimonianza di Francesca Peri, HR manager di una grande azienda come Peuterey. “Nel nostro gruppo la parità di genere è stata una conseguenza naturale della certificazione SA8000, ma non abbiamo fatto altro che formalizzare attività che già mettevamo in atto. Un esempio? La flessibilità oraria dopo la pausa pranzo, una richiesta arrivata direttamente dai dipendenti che, non lo nascondo, ci faceva un po’ paura, ma che alla lunga ha portato dei vantaggi, senza compromettere la produttività. Diamo anche la possibilità di portare i bambini in azienda, così da permettere ai genitori e ai figli stessi di essere più tranquilli”.
La ricca giornata di confronto e spunti di riflessione è stata chiusa dall’intervento di Arianna Talamona, atleta paralimpica ed esperta di inclusione. “Vorrei dirvi che il risultato dello sport paralimpico è figlio del cambiamento, ma ancora siamo un po’ lontani. A livello di sport abbiamo lottato per costruirci uno spazio che nel tempo ha assunto più valore.
Le Olimpiadi di Parigi hanno rappresentato un bel salto in avanti, ma di strada ce n’è da fare ancora molta. Lo sport ha acquisito importanza e attenzione, ma non dobbiamo dimenticarci delle persone disabili che non fanno sport e che si confrontano quotidianamente con le difficoltà di accesso allo studio e nel lavoro. Barriere da buttare giù? La paura di esporsi e di essere soggetti a critiche. Far capire che prima di disabili parliamo di persone, con le loro esigenze, necessità, aspettative, sogni. Buttato giù questo primo muro, il modo di vedere e di pensare le cose cambia spontaneamente”.
Foto ©Fabio Mazzoni
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