Agricoltura: sfida al cambiamento climatico

Il ritorno alla tradizione per salvare i territori e le economie locali: l’agricoltura che sfida il cambiamento climatico
Parte da Firenze una riflessione sui modelli che possono contrastare gli effetti del climate change, grazie alla capacità di adattamento e alla bassa necessità di risorse, per fornire sostentamento economico alle popolazioni locali e contribuire a ridurre i flussi migratori
Un approccio che si contrappone al modello di agricoltura intensiva, che funziona solo nel 30% delle aree agricole del mondo, lasciano 800 milioni di persone nell’impossibilità di avere una dieta sana
La lotta al cambiamento climatico passa dall’agricoltura. Dalle viti coltivate nelle nicchie scavate nel terreno vulcanico di Lanzarote, ai vigneti terrazzati di Lamole, nel Chianti Classico o in Valtellina, fino ai pistacchi coltivati sulle pendici dell’Etna o all’olio di Vallecorsa, prodotto su superfici rocciose nel Lazio, sono molteplici gli esempi di modelli di agricoltura tradizionale in grado di contrastare il climate change e ridisegnare la geografia del mondo.
Un approccio che si contrappone al modello dell’agricoltura intensiva, che oggi mostra limiti nella capacità di adattarsi ad eventi estremi, funzionando solo per il 30% delle aree agricole del mondo – il 25% in Italia – e corresponsabile, al contempo, dello spopolamento delle aree rurali.
Di questi temi si è discusso nel corso della giornata di studi “Tradizione per la Transizione: l’Agricoltura della Resilienza“, che si è tenuta nell’ Auditorium di Sant’Apollonia a Firenze, nella quale sono intervenuti i rappresentanti di FAO, Unesco, Università, del governo, del Ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Sovranità alimentare, Ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Regione Toscana e territori.
“L’agricoltura intensiva non è riuscita a risolvere il problema della fame nel mondo, con 800 milioni di persone che tuttora ne soffrono ed una crescente incapacità di accedere a diete sane – ha spiegato il prof. Mauro Agnoletti, Titolare della Cattedra UNESCO Paesaggi del Patrimonio Agricolo (UNI FI). –
È necessario recuperare pratiche agricole tradizionali, forse meno produttive, ma sicuramente più resilienti, perché nel corso del tempo hanno sviluppato la capacità di adattarsi a climi e ambienti diversi e mutevoli, che consentono loro di resistere meglio ad eventi estremi. I terrazzamenti sono uno dei tanti esempi che abbiamo, perché in presenza di piogge intense sono in grado di ridurre la velocità dell’acqua e l’erosione del terreno, riducendo il rischiodi frane e alluvioni”.
Al centro del dibattito una riflessione sui modelli di agricoltura che possono contrastare gli effetti del cambiamento climatico (adattandosi e riducendo i consumi energetici), fornire sostentamento economico e sicurezza ailmentare alle popolazioni locali e contribuire a ridurre i flussi migratori di natura economica e climatica. Ma anche contrastare gli effetti dei conflitti, come nel caso della guerra in Ucraina, dove a pagare il prezzo maggiore della carenza di grano sono stati i Paesi del sud del mondo.
L’appuntamento di Firenze è nato come giornata di studi conclusiva del progetto “Building capacity: corso internazionale avanzato applicativo su GIAHS (Globally Important Agricultural Heritage Systems) per la valutazione della resilienza in tre diversi contesti socio-ambientali e bioculturali: Africa, Asia e America Latina”, iniziativa collegata al Programma FAO GIAHS e co-finanziata dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) che ha visto come soggetto attuatore il Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali (DAGRI) dell’Università di Firenze e il Polo universitario città di Prato (PIN) in qualità di partner.
In quattro anni di progetto sono state sviluppate 4 edizioni di un Master Internazionale che ha formato 60 manager del territorio rurale, provenienti da 25 Paesi, tra i quali Asia, Africa, Centro e Sud America, ma anche Europa, in grado di identificare e gestire questo tipo di agricoltura.
Tra i sistemi agricoli di cui si occupa il programma mondiale Fao Giahs c’è quello che riguarda i contadini della zona del lago Inle in Birmania, caratterizzata da scarsità di terre coltivabili ma molte superfici coperte dall’acqua, nella quale sono state ideate delle isole galleggianti fatte di fango e paglia per coltivare ortaggi ed altri prodotti, che vengono trasportate e scambiate sul lago con altri contadini.
All’altro capo del mondo, nel deserto del Sahara, ci sono invece sistemi di irrigazione per sommersione che usano limitatissime quantità di acqua ed hanno consentito la creazione di oasi dove si coltiva di tutto, dagli olivi alla frutta, dai datteri all’uva. Allo stesso modo nel nostro Paese, per il 75% montuoso e collinare, migliaia di km di terrazzamenti hanno permesso e in parte consentono ancora, di coltivare terreni in forte pendenza, senza irrigazione, mantenendo la fertilità e limitando il dissesto idrogeologico, con una crescente attività di ripristino di questi sistemi, oggi patrimonio Unesco.
Nel corso del convengo a Firenze sono intervenuti Luca De Carlo, Presidente Commissione Agricoltura del Senato, Sergio Marchi, Capo Segreteria Tecnica Ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, dell‘Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), Maurizio Martina, Vice-Direttore aggiunto FAO, Bruno Archi, Rappresentante permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite a Roma, Simone Orlandini, Direttore Dipartimento DAGRI Università degli Studi di Firenze, Daniela Toccafondi, Presidente PIN – Polo Universitario Città di Prato.
Tra gli speaker Cristian Giardina – USDA Research Center Hawaii, USA, Angelo Barone, Presidente Consulta Nazionale dei Distretti del Cibo, Carlo Francini, Coordinatore Rete italiana siti UNESCO, Canio Alfieri Sabia, Direttore Generale Sviluppo economico, lavoro e i servizi alla comunità della Regione Calabria.
Il pomeriggio è stato dedicato alle best practices italiane, legate alla riscoperta dei modelli agricoli tradizionali e all’impatto positivo sul territorio, sia dal punto di vista della qualità della vita che di attrazione turistica, che di ritorno in termini economici.
Un viaggio tra prodotti enogastronomici d’eccellenza e paesaggi del Paese iscritti nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici del MASAF, guidati dalla voce di sindaci, consorzi e imprenditori agricoli: dalle colline del Prosecco, recentemente riconosciute anche Patrimonio UNESCO, all’area dove nasce il vino Soave, sito iscritto nel Programma FAO GIAHS in Veneto, dalla Valdichiana, che ancora porta le tracce della bonifica promossa dal Granduca Leopoldo di Lorena, alle pendici terrazzate della Valtellina, dal paesaggio storico di Lamole ai vigneti recuperati sull’Isola del Giglio, passando per i castagneti plurisecolari di Moscheta, sull’Appennino Tosco-Emiliano.